22 Novembre 2024
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Gran parte delle caratteristiche che gli esseri umani condividono trovano la loro ragion d’essere nel tentativo di sopravvivere. Sono lasciti dei nostri antenati, i quali hanno sviluppato durante i secoli la tendenza ad una serie di azioni atte a mantenere in vita la nostra specie. Per i più cinici, addirittura, l’uomo potrebbe essere considerato come un ammasso di cellule che cercano ogni strada per evitare l’estinzione.

Nel provare paura, ad esempio, il nostro corpo è predisposto a respirare profondamente, immettendo più ossigeno possibile in circolo, e questo non è un caso. Sfuggire ad un predatore, o anche ad una qualsiasi minaccia che può presentarsi davanti a noi, implica la mobilitazione di una quantità non indifferente di risorse. La paura agisce, quindi, come un’emozione che ci predispone ad uno stato fisiologico utile per tenerci in vita.

Allo stesso modo, la protrusione tipica delle labbra davanti ad una scena disgustosa dipende da un’attitudine che ha radici antichissime. Il disgusto è un meccanismo che trova le sue origini nello sputare via un cibo che sarebbe pericoloso ingerire, poiché potenzialmente tossico e dannoso per l’organismo, e che nel corso dell’evoluzione ha trovato sbocco anche in situazioni sociali che sfidano la nostra concezione di moralità.

In generale, esperire emozioni negative, così come essere particolarmente pronti ad evitare certi tipi di stimoli (come ad esempio ragni e serpenti) non sono altro che pezzi dell’equipaggiamento fornitoci dalla natura per affrontare al meglio un viaggio che potrebbe rilevarsi pieno di sorprese.

Se il ruolo delle sensazioni più spiacevoli è quindi abbastanza chiaro, diversa è la situazione per quel che riguarda le emozioni positive. In molti si sono interrogati sulla necessità, da un punto di vista prettamente adattivo, di esperire affetti positivi di base come la felicità.

Una risposta, da questo punto di vista, è riscontrabile nel lavoro di Barbara Fredrickson. La Broaden and Build Theory (teoria dell’ampliamento e della costruzione) cerca, infatti, di rintracciare quella funzione adattiva che permette alle emozioni positive di spingere gli esseri umani verso il compimento dei propri compiti evolutivi.

Secondo la psicologa americana, è possibile suddividere le emozioni positive in quattro categorie presenti in qualsiasi cultura: gioia, contentezza, interesse e amore. Ovviamente, nonostante la loro universalità, diverse manifestazioni e intensità nella risposta emotiva possono derivare dall’ambiente e dalle esperienze che inevitabilmente influiscono sulla propria crescita.

Il principale compito degli affetti positivi sarebbe, secondo la Fredrickson, quello di promuovere l’ampliamento dei propri orizzonti dal punto di vista sociale, cognitivo e delle proprie abilità. Nonostante l’emozione sia un fenomeno transitorio dalla durata breve, gli affetti positivi possono avere effetti più duraturi, come ad esempio la relazione che può instaurarsi con una persona dopo averci passato un momento piacevole.

Diverse evidenze mostrano gli effetti delle emozioni positive sulla memoria, l’apprendimento, la creatività e il problem solving. Ma sono soprattutto le reti sociali, costruite attraverso i rapporti, a favorire il benessere dell’individuo. La sopravvivenza passa anche dalla capacità di costruire insieme agli altri, potendo beneficiare, nei momenti più difficili, di persone che siano legate a noi dagli attimi felici passati insieme.

di Daniele Sasso

1 thought on “La Broaden-and-Build Theory: la base evolutiva delle emozioni positive (Parte I)

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