State viaggiando, magari in autostrada, con la corsia libera su un tratto che avete percorso decine di volte. A un certo punto vi accorgete di essere arrivati al casello, quando un attimo prima (apparentemente) eravate a 120 km dall’uscita.
Avevate il pieno controllo del veicolo, mentre procedevate ascoltando passivamente la musica in radio, eppure quell’ultima ora sembra essere passata senza che il vostro cervello se ne rendesse conto. In totale automaticità avete cambiato le marce e superato quei pochi mezzi incontrati sul tratto autostradale, il tutto senza considerare minimamente quello che stavate facendo.
A cosa stavate pensando, allora? Probabilmente a qualche momento del vostro passato, piacevole o spiacevole, oppure ai prossimi impegni che vi attendono. Potreste aver fantasticato sul vostro prossimo giorno libero, sui desideri più reconditi o sulla trama di un libro che un giorno vorreste scrivere.
Il fenomeno di cui stiamo parlando è stato decritto con diversi nomi, tra i quali il più comune è mind-wandering. Può essere tradotto letteralmente come mente errante.
In psicologia questo viene definito come la tendenza del nostro cervello a distaccarsi dalla realtà, rilasciando l’attenzione dal compito che si sta eseguendo, per far fluire i nostri pensieri senza nessuna o con poca volontarietà.
Quando si parla di questo effetto, definito anche disaccoppiamento percettivo, si sottolinea la tendenza, da parte dell’essere umano, ad oscillare tra il mondo esterno e quello interno. I momenti passati estraniandosi da attività cognitivamente dispendiose (come lo studio e il lavoro) rifletterebbero la continua battaglia tra l’essere presenti hic et nunc (qui e ora), e la possibilità di rimanere immersi nelle nostre preoccupazioni e negli obiettivi più rilevanti.
Nel passato, la maggior parte degli studi sottolineavano gli effetti negativi del mind-wandering, associandolo alla classica ruminazione tipica della tendenza alla depressione.
In tal senso, un circolo vizioso comporterebbe un abbassamento del tono dell’umore derivato dalla esagerata propensione a rimuginare su fatti accaduti, e allo stesso tempo determinerebbe un rafforzamento del distaccamento dalla realtà favorito dall’umore depresso.
Inoltre, le energie spese a riflettere sulle proprie problematiche comporterebbero la diminuzione delle prestazioni cognitive e della capacità della memoria di lavoro.
Negli ultimi anni, però, nuovi filoni di ricerca hanno esplorato l’altra faccia della medaglia. Le capacità di far errare la mente comporterebbe anche effetti positivi, determinando un miglioramento nella risoluzione dei problemi e una capacità superiore di pianificare il proprio futuro.
Il mind-wandering, caratterizzato dalla tendenza a figurare nella propria mente situazioni non realistiche, potrebbe inoltre essere considerato come un fattore alla base di una mente creativa, che riesce ad andare oltre la semplice percezione, arricchendola con contenuti profondi che, se utilizzati come strategia di coping, potrebbero anche ridurre lo stress e donare una visione positiva davanti a momenti difficili.
di Daniele Sasso
Il Mind-wandering (Parte II): il Default Mode Network e le sue funzioni principali
La pareidolia (Parte I): l’illusione nella percezione della realtà e il suo significato evolutivo
Bugie e cervello: le basi neurali della menzogna
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