Manca sempre meno alla prima stagione di One Piece su Netflix, serie in live action tratta dall’omonimo manga del maestro Eiichirō Oda.
Durante l’evento Tudum, tenutosi lo scorso 17 giugno in Brasile, è stato proiettato un trailer che ha offerto un primo sguardo alla ciurma di Cappello di Paglia e ha rivelato la data della distribuzione all’interno del catalogo della piattaforma: 31 agosto 2023.
Presto, dunque, vedremo Rufy, Nami, Zoro, Usop e Sanji prendere vita con degli attori in carne ed ossa pronti a prestare loro il volto: Iñaki Godoy, Emily Rudd, Mackenyu, Jacob Gibson e Taz Skylar.
Nonostante il manga di One Piece sia in assoluto il più popolare da un paio di decenni, tuttavia, non è detto che la serie riceverà lo stesso trattamento. È ancora presto per esprimere un giudizio dal punto di vista artistico dato che lo show non è ancora neanche iniziato, ma possiamo cercare di comprendere quali potrebbero essere i suoi punti di forza e quali le sue debolezze.
Sappiamo bene che le serie live action tratte da opere a fumetti hanno spesso faticato ad emergere sia in termini di successo che di qualità. A volte è stata la poca aderenza al materiale di partenza, come successo col film a stelle e strisce di Death Note, che non ha tenuto conto dell’importanza del contesto culturale dell’opera originale e si è rivelato un vero e proprio disastro sotto tutti i punti di vista. Altre volte, invece, la pecca è stata causata esattamente dal contrario: serie animate e serie live action si esprimono in linguaggi diversi, e quello che funziona per le prime non può per forza andar bene per le altre. Scene e personaggi sopra le righe tipici dell’animazione giapponese finiscono col risultare caricaturali.
L’ideale, quindi, sarebbe una via di mezzo. Ma saprà esserlo la serie di One Piece? Per avere una risposta definitiva ci toccherà attendere agosto, ma possiamo rimanere abbastanza fiduciosi essenzialmente per due motivi. Il primo riguarda la presenza dello stesso Oda nel progetto. Chi meglio dell’autore dell’opera originale saprà indirizzare gli sceneggiatori verso scelte narrative che rispecchino lo spirito del manga? Il secondo, invece, ha a che fare col trailer: nonostante, infatti, alcuni elementi come la cgi sul potere del frutto del mare di Rufy o le parrucche utilizzate su alcuni personaggi non siano del tutto entusiasmanti, il resto sembra essere esattamente la giusta via di mezzo tra fedeltà e originalità, senza incorrere nell’errore di stravolgere la trama dell’originale o crearne una copia carbone.
Ma il tempo delle congetture è ormai quasi scaduto e molto molto presto potremo salpare sulla Going Merry e fugare ogni dubbio sulla buona riuscita o meno del progetto.