Letteratura

Giacomo Leopardi: il mistero della morte e della sepoltura

Giacomo Leopardi è uno degli autori più famosi e studiati della nostra letteratura. Tutti ricordiamo dagli studi scolastici che nacque a Recanati ed ebbe una salute cagionevole; il suo pessimismo è diventato leggendario.

Meno nota è la conclusione della sua tormentata esistenza: a soli 39 anni, Giacomo Leopardi spirò a Napoli, dove soggiornava da un po’ di tempo e dove aveva da poco concluso “La ginestra”, considerata il suo testamento poetico.

La morte di Giacomo Leopardi

La morte di Leopardi avvenne, secondo il referto medico ufficiale, per edema polmonare. Non sono mancate in questi secoli altre versioni, anche piuttosto fantasiose. Ad esempio, secondo alcuni Leopardi morì per indigestione: pare, infatti, che prima di morire avesse mangiato parecchio.

Si narra, addirittura, di più di un chilo di confetti e di una cioccolata, una minestra e una granita fredda. C’è anche chi ritiene che Leopardi fosse rimasto vittima del colera che infestava Napoli in quel 1837.

Il colera a Napoli

Giacomo Leopardi morì, infatti, in un periodo in cui a Napoli la situazione sanitaria era piuttosto critica: il colera si era impadronito della città e mieteva vittime. Sebbene Leopardi non sia morto per colera (o almeno così ritengono le fonti più autorevoli), il destino dei suoi resti si imbatté con essa.

Infatti, da una parte abbiamo le testimonianze e racconti dell’amico Antonio Ranieri che si occupò dei suoi resti mortali e secondo le quali le spoglie del poeta di Recanati furono inumate  nella Chiesa di San Vitale Martire, sulla via di Pozzuoli nei pressi di Fuorigrotta.

Il giallo della sepoltura

Dall’altra parte, sin dall’inizio, la versione di Ranieri non convinse: molti riscontrarono contraddizioni nelle sue testimonianze e la stretta sorveglianza dei monatti in quei giorni fece subito sorgere il dubbio che le spoglie di Leopardi furono gettate nelle fosse comuni.

Accogliendo questa versione, il funerale fu una messa in scena e i resti presenti nella cassa non appartenevano al poeta. Un episodio che si verificò nel 1900 sembra supportare questa tesi: quando la cassa venne aperta, si trovarono solo alcune parti dello scheletro e un femore di lunghezza eccessiva rispetto alle caratteristiche fisiche di Giacomo Leopardi.

L’analisi del 1900 lasciò dunque molte perplessità che i resti mortali presenti nella tomba nella Chiesa di San Vitale appartenessero al poeta; tuttavia, durante il regime fascista, proprio quei resti furono traslati al  Parco Vergiliano a Piedigrotta situato nel quartiere Mergellina.

Qui tutt’oggi si trova la tomba di Giacomo Leopardi, insieme all’originale lapide prodotta su indicazione di Ranieri.

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