Le celle fotovoltaiche, ovvero i pannelli in grado di generare energia elettrica direttamente dalla luce solare, fino a una trentina d’anni fa costituivano una vista rara sui tetti dei nostri edifici e ciò potrebbe indurre a pensare questo tipo di tecnologia sia di recente ideazione e sviluppo, ma non è così: le sue origini e le prime applicazioni affondano infatti in pieno Diciannovesimo secolo.
Due elettrodi immersi in una soluzione acida e separati da una sottile membrana se illuminati dalla luce del sole generano una differenza di potenziale, e quindi una corrente elettrica. Fu con questo esperimento nel laboratorio di suo padre che il fisico allora appena diciannovenne Alexandre Edmond Becquerel (sia suo padre che suo figlio, scopritore della radioattività e premio Nobel, e suo nipote furono a loro volta eminenti scienziati) scoprì l’effetto fotoelettrico (*). Approfondendo le ricerche notò anche che i risultati migliori si ottenevano con elettrodi ricoperti di cloruro o bromuro d’argento e che l’intensità dell’effetto variava a seconda della lunghezza d’onda dello spettro elettromagnetico, con una differenza di potenziale maggiore generata da una luce blu.
In seguito, nel 1873, l’ingegnere inglese Willoughby Smith scoprì le capacità fotoconduttive del selenio e anche il celebre fisico James Clerk Maxwell avrebbe eseguito osservazioni sul fenomeno in relazione a questo elemento chimico. Sarebbero però stati William Grylls Adams e Richard Day Evans a compiere un passo fondamentale con i loro studi sull’effetto fotovoltaico nel selenio allo stato solido.
Nell’arco di cinquant’anni nel XIX Secolo si passò dalla scoperta del fenomeno alle applicazioni pratiche
I due pionieri nel loro esperimento fecero scorrere attraverso delle barre di selenio una corrente generata da una batteria: una volta scollegata, scoprirono che la corrente indotta si era invertita. Accesero quindi una candela vicino al selenio, verificando che la fiamma costringeva la corrente a fluire nella direzione opposta, come se avessero collegato una batteria.
Annotarono che “Sembrava esserci una situazione in cui la luce produceva effettivamente una forza elettromotrice all’interno del selenio, che in questo caso era opposta e poteva sbilanciare la forza elettromotrice della batteria.” Proseguirono perciò le ricerche per scoprire se fosse proprio, e solamente, la luce ad avviare una corrente elettrica nel selenio.
Dopo aver lasciato a riposo riposare le barre per una notte e verificato l’assenza di correnti residue al loro interno, accesero una candela a un paio di centimetri da una delle barre: l’ago nel galvanometro connesso fece un balzo mentre oscurando la candela esso ripiombava immediatamente a zero.
Werner Von Siemens era considerato “L’Edison europeo”
Questo esperimento dimostrava che non era un effetto termico a generare la corrente: tale fenomeno già noto e documentato implicava una salita e una discesa dell’ago sempre graduali, quando il calore veniva applicato o rimosso. Ecco allora la dimostrazione che la sola radiazione luminosa poteva ingenerare una corrente elettrica in un materiale allo stato solido. L’effetto fotoelettrico.
È sulla base di questi esperimenti che nel 1883 (1879 secondo altre fonti) l’inventore americano Charles Fritts creò la prima cella fotovoltaica: era ottenuta coprendo una lamina di selenio con un sottilissimo strato d’oro. L’anno successivo combinando diverse cellule realizzò il primo pannello fotovoltaico, installandolo su un tetto a New York. L’efficienza era scarsa (1% contro oltre il 20% delle celle normalmente in uso oggi) e i materiali costosi, ma aveva dimostrato che la tecnologia era fattibile. L’immagine di pannelli solari sopra un tetto ha in effetti iniziato a circolare negli ultimi anni (dopo essere apparsa sullo Smithsonian Magazine), ma cosa ritraggano realmente è stato messo in discussione: si tratterebbe non dei pannelli di Fritts ma di quelli di un altro inventore, George Cove, e fu usata originariamente sulla rivista Modern Electrics nel 1909 (è la versione che proponiamo come copertina di questo articolo).
Il pannello di Fritts doveva quantomeno apparire identico nell’aspetto: queste celle producevano una corrente elettrica “continua, costante e di forza considerevole non solo dall’esposizione alla luce solare ma anche alla luce del giorno fioca e diffusa”, come riportava Fritts stesso. Egli inviò alcuni pannelli all’imprenditore e scienziato Werner von Siemens (fondatore con i fratelli dell’azienda che ancora oggi porta il suo nome) che li testò presso la prestigiosa Accademia Prussiana delle Scienze.
Scetticismo, superficialità e l’ossessione per il calore
Von Siemens ne fu impressionato, considerò la conversione della luce in energia elettrica di fondamentale importanza scientifica e una tecnologia dalle grandi potenzialità, ritenendo fosse assolutamente necessario approfondire le indagini per comprendere da cosa dipendesse “l’azione elettromotrice della luce nei pannelli di selenio”. Allora perché le celle fotovoltaiche non iniziarono a diffondersi già alla fine del Diciannovesimo secolo?
Il problema è che persino una personalità autorevole come Siemens non riuscì a convincere il pubblico e gli investitori che quelle strane piastre di Fritts andassero prese sul serio mentre Thomas Edison aveva appena aperto la prima centrale elettrica, alimentata a carbone. Sembrava non vi potessero essere possibilità di concorrenza.
Inoltre gli scienziati stessi in grande maggioranza mostrarono scetticismo, quando non aperta ostilità, di fronte all’idea che la luce potesse da sola generare elettricità senza il passaggio attraverso il calore che avrebbe poi alimentato una turbina: a quei tempi sembrava trattarsi di un’intermediazione obbligata per fare girare un motore e che dei semplici pannelli privi di carburante e parti in movimento generassero energia pareva sospetto, una sorta di utopia paragonabile al moto perpetuo.
Oggi sappiamo che troppi pur validi scienziati pionieri dello sfruttamento utile dell’energia elettrica rimasero vittime di una sorta di ossessione nei confronti della conversione dell’energia termica e che il loro giudizio sui pannelli che producevano elettricità in modo diretto dalla radiazione luminosa fu quantomeno sommario e superficiale, ponendo un potente freno alla ricerca e agli sviluppi di questa tecnologia.
(*): Secondo alcuni storici della scienza come John Perlin la scoperta dell’effetto fotovoltaico propriamente detto avviene in un materiale allo stato solido e sarebbe da attribuire ad Adams e Evans mentre quello di Becquerel andrebbe considerato un effetto fotogalvanico, dato l’utilizzo di elettrodi in una soluzione chimica.
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