Uno degli enigmi più dibattuti nel mondo scientifico riguarda come e quando avvenne la migrazione degli esseri umani verso le Americhe e oggi a dare il suo contributo alla ricerca è la linguistica: secondo una nuova ipotesi gruppi di Homo sapiens entrarono nel Nord America in almeno quattro distinte occasioni in un periodo compreso fra i 12.000 e i 24.000 anni fa, portando con sé le proprie lingue. Il modello linguistico si correla ai dati archeologici, climatologici e genetici, supportando l’idea che le popolazioni nei primi millenni di permanenza nel Nord America fossero dinamiche e diversificate.
In effetti è proprio nelle Americhe che si trova quasi la metà delle famiglie linguistiche di tutto il mondo e sebbene molte siano ormai estinte il loro studio a livello storico e una comparazione con le lingue oggi esistenti possono permettere un viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca di una miglior comprensione riguardo quali gruppi popolarono il continente per primi.
Sono più di sessanta le lingue originarie di tutto il Nordamerica di cui la glottologa dell’Università della California Berkeley Johanna Nichols ha analizzato le caratteristiche come la struttura delle sillabe, il genere dei sostantivi e le modalità di produzione delle consonanti nel parlato scoprendo che le lingue si possono dividere in due gruppi principali: uno iniziale in cui il pronome di prima persona ha il suono “n” mentre il pronome di seconda persona ha il suono “m”, e un gruppo successivo con lingue che incorporano l’informazione e il senso di una frase intera in una sola parola.
Impronte umane nel Nuovo Messico sono state recentemente datate a 23.000 anni fa
Approfondimenti ulteriori portano a ritenere gli esseri umani siano giunti in America attraverso quattro distinte ondate: la prima si sarebbe verificata 24.000 anni fa, un’era caratterizzata dalla presenza di massicci ghiacciai in Nordamerica. Nichols non ha rilevato caratteristiche univoche, suggerendo un insieme diversificato di persone con lingue proprie, mentre la seconda ondata di 15.000 anni or sono presenta la peculiarità dei pronomi n-m; la terza, 14.000 anni fa, segna l’ingresso di lingue inclusive di consonanti semplici mentre l’ondata di 12.000 anni fa mostra consonanti complesse.
Si era a lungo ritenuto l’ingresso nelle Americhe da parte dei nostri antenati fosse avvenuto in tempi relativamente recenti, intorno ai 13.000 anni fa, attraverso un ponte di terra che collegava gli estremi di Nordamerica e odierna Russia dove oggi troviamo lo stretto di Bering. Già un precedente studio linguistico aveva convinto Nichols esso non costituisse tuttavia un tempo sufficiente per lo sviluppo delle circa duecento lingue indigene americane proponendo come stima per il primo approdo addirittura 35.000 anni fa.
Da allora studi archeologici, genetici, geologici e paleoclimatologi hanno contribuito a ottenere un nuovo consenso sulla retrodatazione a un periodo compreso fra 25.000 e 30.000 anni fa e al concetto di diverse ondate migratorie nel corso del tempo. È il caso per esempio della datazione delle impronte umane portate alla luce nel Nuovo Messico di cui avevamo parlato in questo articolo.
Le lingue algiche sono una delle principali famiglie di lingue native in America settentrionale
L’integrazione degli studi linguistici porta a un quadro coerente, con tutti i campi di ricerca che si confermano reciprocamente in un’interpretazione che ora si può ritenere solida, secondo il pensiero di Nichols; Andrew Cowell, antropologo linguistico presso l’Università del Colorado Boulder è dello stesso parere e ritiene lo studio di Nichols (al quale non ha partecipato) interessante poiché “i dati linguistici rafforzano il crescente riconoscimento in altri campi del fatto che il Nord America fosse popolato molto prima di quanto si sia presunto per decenni.”
Nondimeno, proprio Cowell rileva come i dati statistici dello studio mostrino due lingue, Yurok (estremo nord della California) e Arapaho (Wyoming e Oklahoma), “Sono classificate in modo abbastanza diverso, eppure è noto che le due lingue sono geneticamente correlate come parte della famiglia delle lingue algiche”. Le lingue sono inoltre soggette a una forte influenza da parte di quelle dei popoli vicini, arrivando in un certo modo a rendere più nebuloso il modo in cui erano originariamente imparentate con altri idiomi.
Il modello proposto dal nuovo studio riguarda come le lingue siano entrate e si siano evolute nell’America settentrionale ma non le loro origini, a tutt’oggi ignote: “È probabile le persone che si trasferirono in Nord America avessero lasciato parenti in Asia ed è possibile che alcune di quelle lingue siano sopravvissute in Siberia. Ma i limiti del metodo comparativo linguistico implicano che forse non lo sapremo mai con certezza” conclude Nichols.
Fonte: Founder effects identify languages of the earliest Americans, American Journal of Biological Anthropology (marzo 2024)
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