Tossico: un termine che usiamo sempre di più senza conoscerne il vero significato
Tòs-si-co: dal greco τοξικóν “veleno in cui si intingono le frecce”
Mentre fino a pochi anni fa capitava di leggere questo aggettivo solo su etichette o cartelli di pericolo, oggi il suo uso è diventato popolare e sono tantissime le cose che vengono descritte come tossiche. Ci avete fatto caso?
Comportamenti, relazioni, ambienti di lavoro…
Sui nuovi social, tik tok in primis, questa parola spopola in sempre più video di testimonianza e denuncia per descrivere una situazione che reca malessere. Non è necessario dire tanto: additando qualcosa come tossico chi ci ascolta ha subito chiaro il tipo di sentimento che abbiamo provato nel vivere una determinata situazione o relazione.
Se però questa parola è molto evocativa, dall’altra parte non permette una profonda comprensione del fenomeno che ha causato turbamento. Tutto resta in superficie e quindi, cosa si intende esattamente con il termine tossico? E perché ha avuto tutto questo successo?
L’ETIMOLOGIA
Scoprire l’etimologia delle parole è sempre affascinante, dunque partiamo proprio da qui e vedremo che il termine tossico ha una storia piuttosto interessante. Per i greci toxicon era la punta di una freccia avvelenata. Toxicon farmacon infatti, erano tutte quelle frecce che prima di essere tirate con l’arco venivano imbevute di miscela di sangue, sterco e veleno di serpente. Così, chiunque fosse stato ferito con quella freccia, sicuramente, almeno, ne sarebbe rimasto infettato… Ciò che stupisce è che non è la parola farmaco, antenato dell’odierno farmaco, ad essere utilizzato per indicare una sostanza velenosa, ma toxicon, che in origine altro non indicava che un arco.
LA DIFFUSIONE DELL’AGGETTIVO
Insomma il termine tossico racconta una storia di violenza e il suo uso si fa più frequente con l’avvento della rivoluzione industriale quando viene utilizzato per indicare luoghi di lavoro in cui venivano usati materiali pericolosi e sostanze chimiche cancerogene. Insomma ai tempi l’utilizzo della definizione “ambiente tossico” era letterale, o quantomeno, chimicamente dimostrabile.
È alla fine degli anni 80 che la tossicità inizia a diventare una metafora per descrivere qualcosa capace di inquinare in maniera pervasiva, ed è nel 1898 che, per la prima volta, si attesta l’uso di questa immagine nell’assistenza infermieristica. In quell’anno infatti viene pubblicata una guida che definisce luoghi di lavoro tossici tutti quegli ambienti in cui ci sono continui conflitti tra colleghi e una comunicazione aggressiva. Da quel momento in poi diventa una vera e propria figura retorica, una parola che evoca un’immagine molto precisa: un qualcosa che si insinua in un corpo ed è capace di contaminare e infettare tutto.
Nel 2018 poi questo termine ha avuto un tale successo che l’Oxford Dictionary l’ha definito “termine dell’anno”. Secondo la casa editrice infatti ci sarebbe stato un aumento del 45% delle volte in cui gli utenti avrebbero digitato la parola “toxic” sul motore di ricerca del dizionario online, abbinandolo persino a nuove parole. Tra queste parole al primo posto c’è “prodotti chimici”, mentre al secondo c’è “mascolinità“. Il dizionario ha spiegato questo fenomeno in relazione al movimento del “me too”, che ha puntato i riflettori sugli abusi subiti da molte donne e su una precisa cultura: quella della mascolinità tossica.
Oggi invece tossico è un aggettivo che funziona molto bene nella psicologia pop. È un termine colloquiale utilizzato da persone che non sono esperte nel settore, non fanno gli psicologi di professione ma non per questo si sottraggono dal descrivere le situazioni che vivono, raccontare gli atteggiamenti e i comportamenti degli altri. Il rischio però è che questa parola si sia inflazionata; dal voler caricare di senso e pesantezza quanto vissuto, tossico ha finito per significare ben poco, indicando problemi ben diversi tra loro. Il problema è che se ciascun problema viene definito tossico allo stesso modo di un altro, non solo non lo comprenderò nella sua peculiarità ma non permetterò neanche agli altri di farlo. Si corre questo rischio in tutti i campi: nelle relazioni, negli affetti e nell’ambito lavorativo. Condannare qualcuno di tossicità significa indirizzare la causa del nostro malessere a qualcosa di estraneo da noi e non affrontare il reale problema. Cosa voglia dire tossico è poi molto difficile da capire quando si tratta degli altri, con tossico si descrivono sia gli atteggiamenti arroganti e presuntuosi, sia persone con vere e proprie patologie psichiatriche. Non è proprio la stessa cosa e non ha senso accomunare cose così diverse tra loro per entità e gravità. Un discorso simile vale per gli ambienti di lavoro, se è vero che i social hanno aiutato moltissimi a prendere consapevolezza che certe situazioni lavorative sono dannose e se è vero che le persone possono ammalarsi a causa del lavoro ed arrivare al burn out, è anche vero che definire tossico il proprio lavoro non aiuta a comprendere cosa fa stare male i dipendenti. Il malessere può dipendere dalla mancata comunicazione, dalla disorganizzazione, dalla svalutazione, dalle lamentale, dall’atteggiamento dei colleghi o dei capi, dalla competizione o da un salario non adeguato per quello che viene svolto.
Per concludere possiamo riflettere su come il nuovo uso che si fa di questa parola rispecchi una mutata concezione e una nuova consapevolezza di salute, che non è solo quella fisica ma, come scrive l’OMS, rappresenta una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale.