TRUE CRIME: perché così tanti ne sono attratti?
Avete notato che negli ultimi anni il true crime è diventato un vero e proprio genere di intrattenimento? Storie di serial killer, astuti manipolatori e truffatori sono diventate oggetto di programmi e serie televisive, romanzi e podcast, e i dati mostrano chiaramente che sono apprezzate da una larga fetta di pubblico.
Vi siete mai chiesti come mai? Perché queste storie ci interessano così tanto? Ci sono persone particolari a cui piacciono più che ad altre? In questo articolo, proviamo a dare qualche risposta.
LA PAURA
Numerose sono state le ipotesi avanzate da psicologi ed esperti criminologi, che hanno inquadrato le motivazioni che potrebbero portare, anche persone tranquille e lontane dal mondo del crimine, ad interessarsi così tanto a questi gesti efferati.
Secondo Scott Bonn, professore di criminologia e autore del libro “Why we love serial killers” il motore principale che ha contribuito alla popolarità del true crime è la paura. Non dimentichiamoci che la paura del male, dell’orrore, ci è stata trasmessa sin dall’infanzia con racconti di fiabe che menzionano orchi, streghe, lupi e il famigerato “uomo nero”. Sebbene le storie avessero un lieto fine, l‘emozione che faceva da protagonista era la paura. La forza più elementare e potente che prevaleva sulla gioia del “e vissero felici e contenti” Diventati adulti sopperiamo a quella paura infantile con un’altra paura: quella del reale. Non guardiamo più sotto il letto o dentro gli armadi, non teniamo più la luce accesa durante la notte, ma, per quanto diciamo di essere in grado di difenderci, ci preoccupiamo di controllare che porte e finestre siano ben chiuse, stringiamo la borsetta al petto, ci guardiamo dietro le spalle se sentiamo sopraggiungere dei passi…
Secondo Bonn le persone considerano il crimine violento come un modo per affrontare le proprie paure, senza realmente sperimentare il pericolo o il trauma ad esso associato. Questi racconti, che hanno a che fare con la violenza, con il trauma, con la morte, in realtà ci fanno sentire al sicuro, ci consentono di vedere il male attraverso un vetro. Non sta accadendo a noi, colpisce gli altri. Possiamo guardarlo da una postazione protetta. Questa sorta di esposizione controllata alla paura è un modo per affrontare la possibilità del crimine, sviluppare inconsciamente strategie e meccanismi di difesa.
Da uno studio è emerso che sono le donne ad essere maggiormente interessate alle storie criminali. Anche secondo le statistiche di Spotify a fruire dei podcast di true crime sono appunto in larghissima maggioranza donne. Queste statistiche sembrano contraddire il luogo comune che vedrebbe solo gli uomini interessati alle storie di violenza, come sembrerebbero suggerire film d’azione e videogiochi. Secondo la psicologa Amanda Victory la ragione di questa preferenza risiede nel maggior timore che le donne provano, rispetto agli uomini, di diventare vittime di questi delitti. In virtù di ciò quindi queste storie insegnerebbero loro a sopravvivere: a conoscere e prevenire gli effetti nefasti di un crimine. Per le donne diventa interessante la ricostruzione investigativa su come è avvenuto , l’analisi psicologica dell’omicida, la sua storia e le motivazioni che possono averlo portato a commettere un tale crimine. “Capendo perché un individuo decide di uccidere, una donna può imparare a riconoscere segnali preoccupanti in un amante geloso o in un estraneo”
L’ EMPATIA
Gli esseri umani hanno la tendenza a voler empatizzare con i loro simili e il true crime risponde a questo desiderio. Chi ascolta queste storie è attratto dalla violenza dei serial killer perché cerca di comprendere questi mostri; le ragioni che si celano dietro alle loro azioni e il fatto che non possano coglierle appieno, non fa altro che aumentarne il fascino.
In generale, sembra che la fruizione di contenuti true crime soddisfi gli spettatori perché promuove il senso di giustizia. Quando ascoltiamo la storia di un assassino ci conforta credere che tutto il male sia concentrato dentro a quell’essere umano, dentro a quella mente e a quel corpo. E conforta pensare che, quando è stato catturato e rinchiuso da qualche parte, quel male e quella cattiveria lo seguano e spariscano insieme a lui.
IL PROBLEMA: la spettacolarizzazione del dolore
Ma il true crime è un genere controverso, che porta con sé vari problemi, da quello etico fino all’impatto che queste storie possono avere sulla salute e la quotidianità di chi le ascolta. L’ultima serie che ha scoperchiato il vaso di Pandora, raccogliendo molte polemiche, è stata quella del noto serial killer statunitense Jeffrey Dahmer. Le accuse più importanti che gli sono stati rivolte arrivano dai parenti delle vittime che hanno contestato l’eccessiva strumentalizzazione del dolore. Su Twitter Eric Perry, parente di una delle vittime ha commentato: «Abbiamo ancora bisogno di questi film/show/documentari? Non sta a me dirvi cosa guardare, i true crime vanno molto, ma se siete davvero curiosi di apprendere il punto di vista delle vittime sappiate che la mia famiglia è molto arrabbiata per questa serie: c’era bisogno di traumatizzare ancora e ancora, e poi per cosa?». «Stiamo assistendo alla spettacolarizzazione di un evento traumatico che ha cambiato le nostre vita. Serve più rispetto»
Al di là della domanda se sia giusto intrattenersi consumando storie di dolore, c’è quindi l’enorme problema della mancanza di consenso delle persone coinvolte che vedono aziende spettacolarizzare e guadagnare profitto sul loro dolore.
D’altra parte la diffusione del fenomeno ha portato anche effetti positivi: il pubblico spesso non si limita a fruire passivamente delle storie ma vuole avanzare le proprie ipotesi e contribuire alla narrazione. Con i loro podcast o libri, molte autrici si sono proposte di ridare una storia alle vittime degli omicidi, che nel passato venivano messe in secondo piano rispetto ai dettagli morbosi e alla descrizione dell’omicida. Ecco quindi che si cerca di ricordarle, portare loro rispetto e dignità, raccontandole per com’erano. Oltre che riscoprire quelle storie dimenticate, abbandonate o addirittura nascoste per dare pace ai protagonisti, alle vittime e a chi ancora non ha avuto giustizia.