Nel 2006 l’Unione Astronomica Internazionale declassò Plutone al rango di pianeta nano, causando anche reazioni probabilmente inattese nell’opinione pubblica probabilmente inattese da chi aveva espresso il voto il tal senso; dal 2015 Plutone si sta nondimeno prendendo ripetute rivincite sugli autori del declassamento, per così dire.
Lungi dall’essere un monotono e oscuro, persino tetro, pianetino ghiacciato lontano dal Sole, Plutone nel 2015 grazie ai dati ottenuti durante il flyby della sonda della NASA New Horizons mostrò il suo vero volto, un paesaggio sì di ghiaccio ma variegato che include montagne, scogliere, burroni e una situazione climatica sorprendente vivace.
Su Plutone vi è anche attività vulcanica, ma essendo il pianeta composto più di ghiaccio che di roccia e con temperature dell’ordine dei 233 centigradi sotto lo zero, si tratta di fenomeni di criovulcanismo, ovvero con acqua o altri elementi allo stato solido che si comportano in modo analogo alla roccia fusa sulla Terra, portando a vere e proprie eruzioni di ghiaccio.
La superficie di Plutone è composta per lo più di metano e azoto, quindi acqua e ammoniaca potrebbero sussistere in profondità
Per determinare con più precisione quanto sia esteso il fenomeno, un team dell’Università della Florida Centrale guidato da Dale Cruikshank ha analizzato i dati raccolti da New Horizons trovando le prove dell’esistenza di un supervulcano, cui è stato dato il nome di Kiladze, sicuramente attivo nel corso degli ultimi milioni di anni (un tempo piuttosto breve, su scala geologica).
Esso è costituito da una caldera ghiacciata del diametro di 44 chilometri con un bordo alto tre chilometri. Per fare un paragone, è circa il triplo rispetto ai Campi Flegrei. Il problema per i ricercatori consiste nel riuscire a determinare se tali caratteristiche siano sintomo di un’attività criovulcanica oppure il risultato dell’impatto di un asteroide.
I crateri da impatto presentano tuttavia una caratteristica peculiare: un picco, una sorta di collina al centro generata dagli effetti di ritorno dell’impatto. Strutture analoghe sono per esempio visibili nei crateri lunari, ma all’interno di Kiladze non ve n’è traccia.
Inoltre il cratere ha nel corso del tempo subito un collasso simile a quelli osservabili nelle sedi dei supervulcani sulla Terra ma anche in altri pianeti del sistema solare: Kiladze presenta in effetti somiglianze strutturali in modo particolare con Siloe Patera, che si trova su Marte.
Il fenomeno del criovulcanismo è stato rilevato anche in altri del sistema solare come Titano, Luna di Saturno
Kiladze soddisfa il requisito per la definizione (peraltro piuttosto informale) di supervulcano, ovvero l’espulsione di mille o più chilometri cubi di materiale in un singolo evento eruttivo: secondo i calcoli del professor Cruikshank e colleghi basati sulle dimensioni della depressione, il volume di materiale spostato da Kiladze corrisponde a 912 chilometri cubi, all’incirca il limite per la denominazione.
L’orbita di Plutone, oltre a non essere sullo stesso piano degli otto pianeti principali, è fortemente ellittica con conseguenti cicli di raffreddamento e riscaldamento a seconda del periodo avvicinamento e ampio allontanamento dal Sole che causano la sublimazione del metano ghiacciato mutandolo in una sorta di nebbia di idrocarburi che avvolge il pianeta, ricadendo poi sulla superficie, ricoperta così di un manto di neve di metano.
Nel corso del tempo, milioni e miliardi di anni, a causa di questo ciclo in alcuni punti si forma per accumulo uno strato di ghiaccio spesso anche chilometri; ciò si verifica dove vi sono depressioni nel terreno e questo permette, calcolando lo spessore dello strato di ghiaccio e di conseguenza quanto tempo abbia impiegato a formarsi, quando si sia formata quella depressione.
Una volta rilevati da New Horizons, ci è voluto un anno per trasmettere tutti i dati sulla Terra
Kiladze presenta un’inusuale caratteristica: è composto di ghiaccio d’acqua ammoniacato poiché secondo i ricercatori vi sono importanti depositi di questi elementi nelle profondità del pianeta, che il riscaldamento dovuto al nucleo radioattivo spinge con forza verso la superficie nello stesso modo in cui il magma emerge dalla terra durante le eruzioni vulcaniche. Esposta alle radiazioni solari, l’ammoniaca si scompone e ne rimangono solo i sali creando così l’acqua ammoniacata.
Questo fenomeno si verifica anche in altri siti vulcanico su Plutone, altra conferma dell’origine di Kiladze, e implica l’ultima eruzione del supervulcano abbia avuto luogo in tempi relativamente recenti che Cruikshank e colleghi hanno stimato non superiore a qualche milione di anni.
Se i risultati del lavoro del team di Cruikshank saranno confermati Kiladze guadagnerebbe il primato di supervulcano più distante dalla Terra mai scoperto, ma strutture analoghe potrebbero esistere anche su Tritone: la sonda Voyager 2 catturò storiche immagini di pennacchi di origine vulcanica su questo satellite di Nettuno nel 1989, compatibili con l’attività di un supervulcano, ma al momento non vi sono dati sufficienti per ulteriori analisi e nuove missioni che abbiano come obiettivo l’ottavo pianeta del sistema solare non sono in programma nei prossimi dieci anni almeno.
Lo studio Kiladze Caldera: A possible “supervolcano” on Pluto di
D. P. Cruikshank, A. Emran, C. J. Ahrens, J. M. Moore, O. L. White è stato pubblicato su arXiv (ottobre 2023)
Guarda anche:
- Anomalie nel ciclo solare emergono da antichi scritti coreani
- Si rivela un prezioso meteorite da 75000 dollari: era stato usato come fermaporta per ottant’anni
- Quando i mondi si scontrano: osservato il bagliore conseguenza della collisione fra due esopianeti
- Un serpente robot per esplorare le profondità di una luna di Saturno: il progetto della NASA