21 Novembre 2024
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“Il plurale: Stati Sabaudi e non semplicemente Stato Sabaudo, espressione che avrebbe rimandato a un’idea di compattezza e di centralizzazione amministrativa e culturale che è stata più frutto di rappresentazioni che effettiva realtà negli spazi controllati dai Savoia nel corso della loro lunga dominazione”, scrivono Paola Bianchi e Andrea Merlotti, autori de “Storia degli Stati sabaudi” (Morcelliana).

In uno Stato Composito (cioè realtà statuali tipiche dell’antico regime in Europa), in un aggregato di territori come quello dei Savoia fu la continuità della dinastia a tenere unite diverse “patrie” o pays. Nel 1416 quando il conte di Savoia Amedeo VIII (figlio del Conte Rosso) ottenne dall’Imperatore Immagine che contiene interni, inpiedi, tenendo, donna

Descrizione generata automaticamenteSigismondo di Lussemburgo (1368-1437; rex romanorum sino al 1433) il titolo di duca, gli stati sabaudi, immaginando di individuarli su una carta geografica, erano collocati tra Francia e Svizzera. Infatti, la parte più antica dei domini, era un insieme di territori transalpini compresi tra Rodano, Giura e Alpi. Invece il nucleo più antico dei domini cisalpini era costituito dalle Valli di Susa e di Lanzo, passate ai Savoia nel 1045, col matrimonio di Adelaide di Susa con il conte Oddone. Il titolo ducale di Amedeo VIII permise la fase espansiva sia verso la Svizzera sia verso l’Italia, grazie anche al disinteresse della Francia, impegnata nella guerra del Cent’anni (1337-1453).

I trattati di Lione (1601) e di Saint Julien (1603) segnarono la fine delle mire espansionistiche verso la Francia e la Svizzera, individuando così la Pianura Padana come unica via di crescita degli Stati sabaudi; questa nuova strategia portò l’abbandono dell’alleanza con la Spagna per passare a quella con la Francia. Nel Seicento quindi, i domini erano in gran parte in Francia e in parte in Italia. In particolare, la pace di Lione permise ai Savoia un ampio controllo su tutto il territorio subalpino che sino allora era stato sotto il dominio e le Immagine che contiene testo

Descrizione generata automaticamenteambizioni di altre dinastie italiane (la fine della secolare alleanza con la Spagna avvenne proprio quando Carlo Emanuele I reclamò il Monferrato!).

Solo con la pace di Utrech (1713) predomina la parte italiana e si accenna a un processo di nation building che però rimase incompiuto per la presenza di due forze opposte e contrastanti: le élites culturali piemontesi che miravano a trasformare gli Stati in uno Stato italiano, un “grande Piemonte” nel quale avrebbero dovuto identificarsi quei pays che non erano piemontesi, ma che neppure si sentivano italiani come la Savoia e la Valle d’Aosta.

E le elites proprio della Savoia e della Valle d’Aosta che avevano maturato una propria identità legata alla montagna intesa come elemento peculiare. In esse era forte il sentimento di uno Stato bilingue, ben distinto sia dalla Francia sia dall’Italia, dove la parte francofona e quella italofona potessero convivere e rappresentare due realtà di pari dignità.

Nel 1850, al tempo di Vittorio Emanuele II, alla contessa Provana di Collegno, il regno composto da Piemonte, Savoia, Sardegna e Genova apparve male assortito, null’altro che “quattro province senza alcun sentimento comune”, di cui il Piemonte è la sola parte sana; la Savoia sogna di restaurare la monarchia assoluta; la Sardegna (dove la lingua amministrativa era lo spagnolo) è “solo a metà incivilita e sotto il dominio dei preti”; Genova è pericolosa perché è “piena di violenti democratici” (democratico, che termine sconveniente per un’aristocratica!). Il pensiero della contessa, insieme a tanti altri espressi in quel periodo, era ben lontano dal quadro trasmesso dai Duchi sabaudi di un Regno di Sardegna compatto e unito.

 “Stati sabaudi” era l’espressione usata dagli stessi sovrani per definire i propri domini sino al 1848.   La salita al trono di Carlo Alberto fu decisiva nella storia della dinastia e dei suoi Stati: essi si trasformarono da monarchia composita in una monarchia nazionale e fu la fine degli Stati sabaudi propriamente detti. Carlo Alberto fu il promotore di una svolta italiana e del principio di nazionalità. Principio al quale i Savoia non aderirono mai esclusivamente, definendosi sempre principi tedeschi e di discendere da antenati sassoni. Nel 1557 Emanuele Filiberto scriveva al Principe Elettore di Sassonia (arcicancelliere del Sacro Romano Impero) descrivendosi come “vero e buon tedesco di sangue” per chiedere “all’amato cugino” di poter inserire le armi sassoni nello stemma sabaudo. L’Elettore diede il suo consenso e fece addirittura disegnare lo stemma a Dresda per poi inviarlo a Emanuele Filiberto che, a partire dal trattato di Cateau Cambrésis (1559), lo utilizzò come stemma ufficiale. Come già detto, in uno Stato composito come quello dei Savoia, la storia, l’importanza della dinastia sono l’unico collante tra le diverse realtà territoriali. Da questo scaturisce anche la necessità di creare la figura dello storiografo di corte: da J. d’Orville “Cabaret”, a F. de Pingon, sino a L. Cibrario, che furono i veri registi della propaganda dinastica. Ad esempio il barone de Pingon, storico, autore delle prime opere a stampa di Torino e della Sindone, nel 1581 pubblicò l’albero genealogico dei Savoia, evidenziando le origini sassoni della dinastia. Anche la poesia e la letteratura furono ottimi veicoli per celebrare i sovrani e il loro potere; da Giovanni Botero (1544-1617) in poi, in particolare sotto Carlo Emanuele I fiorirono scritti, poemi epici atti a glorificare la dinastia, le origini, le azioni. La lunga tradizione di architetti al servizio dei Savoia fu uno strumento per creare ed esaltare “zone di comando” (la prima fu nel nucleo del castello di Chambéry), sempre plasmabili e reinventabili, in particolar modo a Torino fra Sei e Settecento, dove cultura di corte e cultura amministrativa si amalgamarono strategicamente ed elegantemente.

Per tornare al fattore dinastico: i Duchi sabaudi si presentavano diversi dai principi italiani: erano vicari dell’imperatore e non gradivano essere assimilati ai sovrani della Penisola, appartenenti a dinastie recenti. La loro risaliva all’anno mille!

Nel 1066 Berta di Savoia, figlia del conte Oddone, sposava Enrico di Franconia, re dei Romani, il futuro l’imperatore Enrico IV e ciò a dimostrare come i Savoia fossero considerati alla pari delle grandi dinastie europee. La loro politica matrimoniale fu sempre di respiro europeo, imparentandosi solo raramente con le casate italiane, eccezion fatta per le nozze coi duchi di Milano e coi marchesi del Monferrato e di Saluzzo. I sovrani sabaudi non sposarono mai principesse italiane, ma sposarono quasi sempre figlie di imperatori o di re; un esempio di relazioni matrimoniali per rafforzare la storiografia dinastica furono le mogli tedesche di Carlo Emanuele III, Anna Cristina Palatinato-Sulzbach e Polissena d’Assia-Rheinfels-Rotenburg, che permisero di mantenere equamente rapporti con le corti di Vienna e di Parigi.

“Storia degli Stati sabaudi (1416-1848)” di P. Bianchi (docente di Storia moderna all’Università della Valle d’Aosta) e di A. Merlotti (direttore del Centro studi della Reggia di Venaria) affronta la storia di questi Stati, dove la dinastia è un punto di partenza e un elemento unificatore, dove plurale e pluralità sono il filo conduttore, attuale più che mai, di questa approfondita e stimolante indagine storiografica che offre una chiave di lettura aggiornata e puntuale per comprendere che la storia dei popoli e delle dinastie segue vicende complesse, per nulla lineari e programmabili.

Giannamaria Villata

Il libro

Paolo Bianchi – Andrea Merlotti

STORIA DEGLI STATI SABAUDI (1416-1848) Morcelliana

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