Nei suoi albori e per centinaia di milioni di anni (probabilmente 700) il nostro Sistema Solare si presentava caotico e instabile, con grandi quantità di oggetti di svariate dimensioni, dagli asteroidi ai protopianeti fino ai pianeti veri e propri già formati, in collisione fra loro con grande frequenza (su scala temporale cosmica). Oggi viviamo in una situazione di stabilità ma osservando altri sistemi stellari possiamo ritrovare la situazione dei primordi.
Come nel sistema planetario della stella denominata 2MASS J08152329-3859234, ubicata a 1850 anni luce da noi: è qui che gli astronomi sono riusciti per la prima volta a individuare il bagliore residuo conseguenza della collisione fra due giganti ghiacciati simili al nostro Nettuno.
Era il dicembre del 2021 quando la stella si affievolì nello spettro della luce visibile (o, come dicono gli specialisti, si verificò un evento di oscuramento ottico); quest’accadimento colse di sorpresa astronomi come il dottor Matthew Kenworthy, professore associato presso l’Università di Leiden in Olanda e autore principale dello studio: «Quando inizialmente abbiamo condiviso la curva della luce visibile di questa stella con altri astronomi, abbiamo iniziato a osservarla con una rete di altri telescopi»
Nella nomenclatura moderna pianeti come Urano e Nettuno sono definiti giganti ghiacciati
Queste osservazioni successive operate nella lunghezza d’onda della luce visibile hanno rivelato che l’oscuramento era dovuto a una sorta di eclissi durata circa 500 giorni e iniziata due anni e mezzo dopo un evento di luminosità osservato invece nell’infrarosso, suggerendo quindi che l’oggetto responsabile dell’eclissi, qualunque cosa fosse, aveva un periodo orbitale di almeno 2,5 anni.
«Un astronomo sui social media ha sottolineato che la stella si è illuminata nell’infrarosso più di mille giorni prima dello sbiadimento ottico. Sapevo quindi trattarsi di un evento insolito.» spiega Kenworthy, «A essere onesti, questa osservazione è stata una completa sorpresa per me».
Lo specialista ha quindi con i suoi colleghi analizzato sia i dati ottici che quelli infrarossi raccolti dal Las Cumbres Observatory Global Telescope Network (LCOGT) a terra e dal Wide-field Infrared Survey Explorer (WISE), telescopio spaziale della NASA, prendendo in esame sia gli anni precedenti che quelli successivi all’evento di oscuramento, denominato ASASSN-21qj.
Il telescopio James Webb potrà rivelarsi prezioso nello studiare quest’evento, grazie alla sua capacità di sondare l’infrarosso
Il team ha concluso che la spiegazione più probabile è che il bagliore nell’infrarosso sia la conseguenza dello scontro fra due pianeti: «I nostri calcoli e i modelli computerizzati indicano che la temperatura e le dimensioni del materiale incandescente, così come la quantità di tempo in cui il bagliore è durato, sono coerenti con la collisione di due esopianeti giganti di ghiaccio» spiega Simon Lock, astronomo dell’Università di Bristol.
«La risultante nuvola di detriti in espansione dall’impatto si è poi spostata davanti alla stella circa tre anni dopo, causando l’oscuramento della luminosità della stella alle lunghezze d’onda visibili. Si prevede che nei prossimi anni la nuvola di polvere inizierà a diffondersi lungo l’orbita dei resti della collisione e una dispersione di luce rivelatrice da questa nuvola potrebbe essere osservata sia con i telescopi terrestri che con il James Webb Space Telescope.»
I detriti in orbita probabilmente finiranno col riaggregarsi dando forma a un nuovo, singolo pianeta, ma i ricercatori si spingono oltre: «Sarà affascinante osservare ulteriori sviluppi» afferma l’astronoma Zoe Leinhardt dell’Università di Bristol «Alla fine, la massa di materiale attorno al residuo potrebbe condensarsi per formare un seguito di lune che orbiteranno attorno a questo nuovo pianeta».
La stella ha solo 300 milioni di anni, è giovane in confronto ai 4,6 miliardi del nostro Sole; tuttavia i risultati dello studio confermano che anche i pianeti già formati entrano in collisione, il fenomeno non è limitato a detriti o a corpi secondari.
Lo studio A planetary collision afterglow and transit of the resultant debris cloud
è stato pubblicato su Nature (ottobre 2023)
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