La ricerca pubblicata su arXiv è oggetto di dibattito da ancor prima di passare alla fase di peer review, ma la cosa non stupisce considerando che si propone l’ipotesi si possa per la prima volta toccare con mano della materia proveniente da oltre il sistema solare.
Era il 2014 quando un meteorite denominato CNEOS 2014-01-08 (o IM1) si schiantò sulla Terra, nelle acque dell’oceano Pacifico: che si trattasse di un oggetto di origine interstellare era stato ipotizzato a posteriori prima in uno studio pubblicato nel 2019 dagli astronomi Amir Siraj e Abraham Loeb poi con una prima conferma giunta dallo United States Space Command sarebbe nel 2022 (il giudizio al momento non è ancora ufficialmente considerato definitivo, comunque).
Oumuamua e 2I/Borisov sono gli unici due oggetti la cui origine esterna al sistema solare sia confermata
Avi Loeb, ricercatore di Harvard e fondatore nel 2021 del Progetto Galileo che ha come obiettivo la ricerca di tracce identificabili come frutto di tecnologia extraterrestre ha guidato nel giugno 2022 una spedizione alla ricerca dei resti di IM1.
Grazie all’utilizzo di magneti con capacità specifiche per questo genere di sondaggio, sul fondale oceanico a circa 85 chilometri dall’isola di Manus, Papua Nuova Guinea, sono stati individuate e recuperate delle sferule con un diametro compreso tra 0,05 e 1,3 millimetri.
I ricercatori dell’Università di Harvard hanno quindi sottoposto ad analisi 57 di queste piccole perle minerali e i risultati preliminari suggeriscono che almeno una parte dei reperti presenti caratteristiche chimiche di tipologia differente rispetto a quella che ci aspetta da rocce provenienti dal nostro Sistema Solare, portando ulteriori indizi a sostegno della tesi dell’origine interstellare di IM1.
Il team ha recuperato decine di sferule dal fondale oceanico
Le analisi erano mirate a determinare il rapporto tra gli elementi che compongono una selezione delle sfere recuperate, che si ritiene siano originate dalla meteora in seguito all’attrito con l’atmosfera lungo la traiettoria che l’avrebbe condotta all’impatto: le variazioni negli isotopi del ferro sono, in base ai risultati, coerenti con un ingresso traumatico nella nostra atmosfera confermando le sferule siano di origine esterna al nostro pianeta.
Le rilevanti proporzioni di metalli come il berillio, il lantanio e l’uranio non erano mai state osservate prima d’ora in nessun meteorite e ciò suggerisce un luogo di formazione lontano dal nostro Sistema Solare.
«La composizione delle sferule lungo il percorso della meteora proviene sempre coerentemente dalla stessa fonte, mentre le sferule sul fondo della stessa regione usate come controllo avevano morfologia e composizione diversa.» spiega Loeb.
Uno studio del 2021 suggerisce in media sette oggetti interstellari raggiungano ogni anno il sistema solare
«Sulla base dell’abbondanza rilevata di uranio-238, piombo-206, uranio-235 e piombo-207 ho calcolato che le due sferule provenienti dal percorso della meteora abbiano un’età dell’ordine di quella dell’universo (13,8 miliardi di anni) mentre le sferule di fondo hanno un’età compatibile con quella del Sistema Solare (4,6 miliardi di anni).»
Lo studio arricchisce il recente campo di ricerca che prende in oggetto lo scambio di materiali rocciosi fra le stelle: corpi in orbita attorno a una stella potrebbero venire sottoposti a forze sufficienti a scaraventarli nell’orbita di un’altra stella con regolare frequenza, più di quanto supposto fino ad anni recenti, sebbene tale definizione vada comunque vista su scala e tempi cosmici e non umani. Il primo caso confermato di scambio interstellare risale appena al 2017 con l’avvistamento di Oumuamua, un asteroide o forse i resti di una cometa dal comportamento peculiare.
Fonte: Discovery of Spherules of Likely Extrasolar Composition in the Pacific Ocean Site of the CNEOS 2014-01-08 (IM1) Bolide, arXiv (agosto 2023).
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