21 Novembre 2024
Falcone e Borsellino, per non dimenticare

Il 19 luglio 1992 rappresenta una delle pagine più amare della storia italiana: l’assassinio di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della  scorta per mano della criminalità organizzata. A distanza di trentun’anni dal tragico evento, è importante ricordare la forza di uomini come lui che vi si opposero con grande coraggio, dando la propria vita per combattere il sistema corrotto della mafia.

Facciamo un passo indietro e ripercorriamo gli eventi che hanno preceduto la triste vicenda.

Negli anni Novanta, i governi di Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini dovettero affrontare il problema di organizzazioni criminali come Cosa nostra, la camorra e la ‘ndrangheta, che a tutt’oggi rappresentano un grave pericolo per la società italiana.

Il terrorismo mafioso aveva assorbito e sopraffatto tutti gli aspetti della vita democratica, dal governo alla magistratura, ai servizi segreti, alla polizia, all’esercito. Calpestando i diritti dei cittadini, alterando i meccanismi del mercato, pretendendo il pizzo per esercitare attività economiche e imponendo che i lavori pubblici venissero assegnati a loro imprese, le organizzazioni mafiose minacciavano con grande prepotenza la democrazia, riuscendo a volte anche a farsi forte del proprio potere per contendere allo Stato il controllo del territorio, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.

La situazione precipitò il 3 settembre 1982, con l’assassinio del generale Dalla Chiesa, eletto pochi mesi prima prefetto di Palermo. La reazione dello Stato, a quel punto, si fece sentire da parte della magistratura palermitana, in maniera particolare dal pool antimafia guidato da Antonino Caponnetto consigliere istruttore, e formato dai giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello.

Grazie alle rivelazioni di Tommaso Buscetta, pentito che decise di collaborare con la giustizia contro Cosa nostra quando i suoi due figli vennero assassinati, i giudici riuscirono a instituire il maxi-processo del 10 febbraio 1986, la cui sentenza un anno dopo (16 dicembre 1987) diede loro ragione con 2665 anni di reclusione, 19 ergastoli e 11 miliardi e mezzo di multa per gli indagati. Per la prima volta, lo Stato ha reagito con forza all’aggressione di Cosa nostra, dimostrando di poter rispondere in modo appropriato alle aggressioni stragiste.

Falcone e Borsellino: le stragi di Capaci e di via d’Amelio

Tuttavia, gli importanti risultati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata scatenarono una violenta reazione che fece numerose vittime dalla parte della giustizia. Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone fu vittima della strage di Capaci con sua moglie e tre agenti di scorta: i mafiosi fecero saltare in aria un tratto dell’autostrada Palermo-Punta Raisi.

A distanza di un paio di mesi, fu la volta di Paolo Borsellino, assassinato con un’autobomba esplosa in via d’Amelio a Palermo.

La strage di via d'Amelio

La morte di entrambi i magistrati diede un ulteriore impulso alle indagini sulla mafia: il governo Amato inviò in Sicilia reparti dell’esercito in ausilio alle forze dell’ordine per il controllo del territorio e venne approvato un articolo di legge che decretò per gli uomini di Cosa nostra il carcere duro e l’isolamento nelle carceri di massima sicurezza.

Sebbene, dunque, i risultati positivi non siano mancati, la criminalità organizzata è ben lontana dall’essere debellata. Ed è proprio questo il motivo per cui, ogni anno, è fondamentale tenere viva la memoria delle vittime, affinché siano un monito e un promemoria della pericolosità del fenomeno.

L’albero della Pace. Foto di Francesco Miseo

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