Viviamo in un periodo storico e culturale nel quale concetti come quelli di sesso biologico, gender, femminismo, machismo, patriarcato e sessismo sono argomenti di discussione all’ordine del giorno. Se ne parla in TV, sul web, in radio e anche sulla vecchia carta stampata. Si tenta di diffondere consapevolezza, di educare, di dare il giusto peso a determinate parole e di sensibilizzare su tematiche di cui oggi più che mai è necessario prendere coscienza.
Partendo da un discorso generale riguardante l’interrogarsi sulla propria identità di genere, l’autore Ruggero Dibitonto scrive Rosa e Azzurro, un’interessante analisi edita da Il Giardino della Cultura per la collana I tecnici sulla rappresentazione e sui luoghi comuni che da sempre accompagnano la sfera femminile.
Gli stereotipi sulle donne affondano le proprie radici nel principio dei tempi: il genere femminile è sempre stato confinato in una posizione d’inferiorità rispetto a quello maschile. Già a partire da Adamo ed Eva, dalla meretrice di Babilonia, dalle sirene di Omero nell’Odissea, dalle tragedie greche come la Medea e da figure mitologiche come quella di Medusa, la donna è stata vista come l’oggetto da combattere, la cui mostruosità risiede nella sua stessa esistenza, nel suo corpo, nella capacità di riproduzione che sfugge al dominio dell’uomo, nel potenziale potere che ne deriva.
Dibitonto rintraccia nell’educazione differente che viene impartita a bambini e bambine la prima fonte di oppressione per il genere femminile. È a partire dai primi stereotipi su colori, ambienti e professioni che interiorizziamo concetti pericolosi e diamo il fianco all’insorgere del patriarcato e alle sue degenerazioni, non ultima la violenza di genere.
E allora come fare per spezzare il circolo? Come allontanarsi da concetti tossici come il sessismo? La risposta per l’autore è lapalissiana: educazione e pedagogia di genere sono le armi più potenti che abbiamo per abbattere gli stereotipi di genere e decostruire concetti fin troppo radicati nella nostra cultura.