Un pianeta vagabondo potrebbe venire catturato in un’orbita ai margini del sistema solare?
La ricerca di un ipotetico pianeta sconosciuto all’interno nel nostro sistema solare non è cosa nuova: già all’inizio del Ventesimo secolo uno dei più importanti esponenti nel campo dell’astronomia, Sir Percival Lowell, aveva sulla base di anomalie riscontrate nelle orbite dei giganti ghiacciati Urano e Nettuno ipotizzato l’esistenza di un oggetto di notevole massa ancora più distante di questi ultimi.
Successivamente arrivò la scoperta di Plutone, che tuttavia presenta una massa troppo ridotta per poter essere quel che si stava cercando e la stessa cosa si può dire per gli oggetti analoghi scoperti in anni più recenti e oggi classificati come pianeti nani.
Gigante gassoso, ghiacciato o superterra
La caccia all’ipotetico Pianeta X (o anche Pianeta 9) non si è fermata pur fra controversie riguardo la necessità della sua esistenza per giustificare certe anomalie peraltro indicate anche da ricercatori odierni. Sono diverse le ipotesi proposte riguardo la composizione del possibile pianeta sconosciuto, da gigante gassoso come Giove a una superterra, il grande assente nel nostro sistema solare in confronto alla diffusione di questa tipologia di pianeta fra le migliaia di sistemi extrasolari scoperti negli ultimi trent’anni.
Una nuova ricerca incrocia il tema del Pianeta X con quello del pianeta solitario o pianeta vagabondo (rogue planet nell’accezione in lingua inglese), un concetto che avrebbe a sua volta un tempo fatto inarcare parecchie sopracciglia fra gli astronomi essendo ritenuta un’idea più adatta alla fantascienza che all’universo reale ma che oggi risulta confermata non solo da modelli teorici ma anche da veri e propri avvistamenti e lo si ritiene anzi un fenomeno piuttosto comune.
Il giovane sistema solare: una partita a biliardo
Durante la sua giovinezza, mentre è ancora in fase di formazione e poi in quella che potremmo paragonare a una sorta di adolescenza irrequieta, un sistema stellare è un ambiente caotico in cui abbondano oggetti in orbita vorticante intorno alla propria stella (o più d’una), dai protopianeti agli ammassi di detriti di varie dimensioni che andranno in gran parte a formare oggetti più grandi.
Ma in questa sorta di biliardo cosmico alcuni corpi possono in seguito a collisioni o interazioni gravitazionali sfavorevoli essere letteralmente scagliati lontano, ritrovandosi in un’orbita estremamente ampia nel proprio sistema solare caratterizzata da un’ellisse particolarmente allungata, o addirittura uscire da esso iniziando un viaggio in solitaria nello spazio interstellare.
La nube di Oort è una sorta di gigantesca sfera che circonda il Sole a una distanza fra 0,3 e 1,5 anni luce, ovvero a migliaia di volte la distanza di Plutone, abitato da comete: si ritiene provengano da qui quelle di lungo periodo, ovvero che transitano in prossimità del Sole dopo un tempo che si conta in oltre duecento anni, fino anche ai milioni.
Una sonda costruita dall’uomo impiegherebbe migliaia di anni per attraversare e uscire dalla Nube di Oort
Secondo lo studio dei ricercatori vi è lo 0,5% di possibilità che un pianeta errante si sia formato all’interno del nostro sistema e sia finito nella nube di Oort mentre si allontanava dal Sole, ma risulta più probabile con il 7% che un pianeta simile a Nettuno (un gigante costituito di gas ghiacciati dieci volte più grande della Terra) formatosi in un altro sistema stellare sia stato catturato dalla forza di attrazione gravitazionale del Sole, stabilizzandosi in orbita all’interno della nube di Oort. Distanza e massa renderebbero tuttavia impossibile che questo ipotetico pianeta possa essere il responsabile delle perturbazioni osservate da Lowell e successori, non sarebbe quindi il Pianeta X o il Pianeta 9.
L’esistenza stessa della nube di Oort è ipotizzata e non risulta osservabile a causa della luminosità praticamente nulla dei nuclei delle comete che la formerebbero, ma diverse simulazioni effettuate negli ultimi anni la confermano come ipotesi realistica. Il transito di altre stelle in prossimità del Sole potrebbe inoltre causare sconvolgimenti nelle orbite delle comete e altri detriti nella nube, inducendoli a proiettarsi verso l’interno del sistema solare.
Vi sono indicazioni convincenti che un transito di questo genere si sia verificato 70.000 anni fa, davvero poco tempo su scala astronomica, quando la Stella di Scholz (in realtà un sistema binario formato da due stelle molto più piccole del Sole) avrebbe effettuato un vero e proprio flyby spingendosi fin dentro la nube stessa raggiungendo una distanza minima dal Sole di forse appena 0,6 anni luce.
Oggi la Stella di Scholz si trova a venti anni luce da noi e si stima che avvicinamenti in grado di creare perturbazioni si verifichino ogni 50.000 anni in media, anche se non così estremi: l’oggetto più “pericoloso”, la stella Gliese 710, dovrebbe transitare entro 16.000 Unità Astronomiche fra 1,3 milioni di anni.
Fonte: Oort cloud (exo)planets
https://planetplanet.net/2023/06/21/oort-cloud-exoplanets/
https://arxiv.org/abs/2306.11109
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