Artista sensibile e poliedrico, Francesco Nuti ha segnato un’importante pagina di storia del cinema italiano degli anni Ottanta.
Dopo aver mosso i primi passi nel mondo del cabaret, è divenuto noto al grande pubblico come sceneggiatore e attore in alcune pellicole dirette da Maurizio Ponzi, grazie alle quali si è aggiudicato premi prestigiosi quali il David di Donatello e il Nastro d’argento.
Il successo è andato avanti per circa un decennio, anni in cui Nuti si è mostrato talentuoso anche come regista e cantante, arrivando a calcare il palco dell’Ariston al Festival di Sanremo del 1988.
Quella che sembrava una carriera inarrestabile, costellata di grandi successi sotto tutti i punti di vista, ha subito in seguito una forte battuta d’arresto quando alcuni tra i film e gli spettacoli teatrali di Nuti non hanno ottenuto il riscontro sperato da parte di critica e pubblico.
Da qui ha avuto inizio una lunga e dolorosa parabola discendente che ha portato l’artista a fare i conti prima con la depressione e la dipendenza da alcol, e successivamente con gravi problemi di salute causati da un incidente domestico che lo ha costretto su una sedia a rotelle e gli ha causato gravi problemi neurologici fino alla morte avvenuta il 12 giugno 2023.
La storia di Francesco Nuti, particolarmente drammatica e toccante, porta a interessanti riflessioni sull’industria dell’intrattenimento che vale la pena analizzare.
La prima riguarda lo status di attori, registi e più in generale personalità del mondo dello spettacolo in generale e il modo in cui noi ci approcciamo a essi.
Da fruitori delle loro opere, siamo portati a pensare che queste figure siano leggendarie, invincibili e irraggiungibili. Le percepiamo così lontane da noi che non pensiamo mai che siano in realtà esseri umani esattamente come noi, con le nostre stesse debolezze, insicurezze, fragilità.
Quella di Nuti non è tanto la vicenda di un attore che ha perso il successo, ma quella di un uomo che ha provato a combattere i propri demoni interiori e che, forse perché troppo sensibile, forse perché non ha trovato l’aiuto di cui aveva bisogno, ha faticato più di altri nel tentativo di rimettere insieme i cocci della propria vita.
E questo porta al secondo punto da analizzare: l’indifferenza dell’industria di fronte a chi ha bisogno di supporto.
Come società, stiamo cercando di sensibilizzarci sul tema della salute mentale, sul concetto che va bene non stare bene, sull’importanza di trattare gli altri con gentilezza perché non sappiamo quali battaglie stiano combattendo e sulla necessità di dare e ricevere aiuto.
Eppure Nuti non ha ricevuto un trattamento del genere, ma anzi, è stato discriminato per un problema di dipendenza. Uno sbaglio (se di sbaglio si può parlare) gli è costato tutto e da quel momento è diventato un artista da evitare e a cui chiudere le porte in faccia.
Questo mostra quanto il successo sia effimero e quanto il mondo dell’intrattenimento possa essere ipocrita. È impossibile non immaginare che le cose sarebbero potute andare diversamente se qualcuno avesse ascoltato il suo grido d’aiuto.
“Sto male. Ho 48 anni e siccome ho una malattia, che è l’alcolismo e che sto ormai superando, non mi fanno più lavorare. Ma io sono stato un uomo d’oro del cinema italiano”, dichiarava Francesco Nuti dopo il tentativo di suicidio nel 2003.
E a distanza di vent’anni, restano la tristezza e i rimpianti per una vita che, forse, avrebbe potuto essere meno tortuosa e travagliata.