Pubblicato dalla casa editrice Il giardino della cultura e facente parte della collana Pensieri in ordine sparso, c è una raccolta di poesie forti, crude e schiette, che raccontano, in maniera del tutto edulcorata, senza filtri o perbenismi, la vita ribelle e scomposta dell’autrice Vittoria Scola.
Amore, delusione, sofferenza, rapporti disfunzionali e pensieri cupi trovano luogo nei versi dell’autrice, che da una parte propendono verso una visione piuttosto cinica del mondo, ma dall’altra, paradossalmente, trovano una dimensione più dolce, tenera e amorevole nel loro stesso esistere.
Dall’opera di Scola emergono dunque un animo tormentato e uno sguardo disilluso, ma anche un desiderio di comprensione e di salvezza che trova il proprio posto nella vocazione verso la poesia.
Quello che emerge da La sentenza della fenice è il ritratto di una donna governata da due spinte contrapposte e ambivalenti: come l’uccello di fuoco che dà il titolo al testo si disintegra e rinasce dalle proprie ceneri, allo stesso modo la poetessa racconta un’esperienza, la propria, fatta di distruzione ma pure di risurrezione.
L’autrice scava nel proprio vissuto, lascia venire a galla le proprie ferite e l’animo cupo e grigio che la contraddistingue, ma, allo stesso tempo, si guarda dentro e riesce a trasformare quella rabbia e quel dolore in desideri, sogni e aspettative. Ed è allora che la sua visione negativa del mondo e dell’esistenza umana si capovolge, è in quel momento di catarsi che ella stessa risorge.
La fenice, che si identifica nell’atto di disintegrare, scombina, rimescola e ribalta, abbatte per costruire, esplode per ricreare, e la cenere che rimane diviene arte, bellezza, filosofia e poesia. Un’opera, quella di Vittoria Scola, che non indora la pillola, ma neppure si ferma alla mera distruzione: scava a fondo e trova una via di scampo, uno spiraglio di luce e di speranza in mezzo all’oscurità.