Dopo il premio Nobel per la medicina assegnato al ricercatore svedese Svante Pääbo per ricerche legate allo studio del DNA in ambito paleoantropologico, una nuova affascinante ricerca, frutto della collaborazione il Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, l’Accademia Russa delle Scienze, l’Università di Bologna e altri istituti internazionali, riporta in primo piano il celebre cugino dell’Homo sapiens, l’uomo di Neandertal.
Fra le due grotte di Chagyrskaya e Okladnikov, ubicate nella Siberia meridionale a un centinaio di chilometri dalla grotta di Denisova, a sua volta famosa per il rinvenimento dei rappresentanti di un altro ramo dell’evoluzione che prendono il nome proprio dal luogo della scoperta (l’uomo di Denisova, appunto), sono stati portati alla luce i resti dei componenti di due comunità Neandertaliane. Un team guidato da Laurits Skov e dallo stesso Svante Pääbo ha proceduto all’analisi del DNA antico di 13 individui, per la precisione sette uomini e sei donne di cui otto adulti e cinque ragazzi.
L’Accademia delle Scienze russa iniziò gli scavi in questi siti nel 2008
Erano finora 18 gli individui di Neandertal il cui DNA era stato sequenziato a partire dal primo caso, nel 2010, e i risultati di questa nuova ricerca dimostrano che ci troviamo di fronte a una sorta di famiglia allargata, una comunità di persone strettamente legate fra di loro dal punto di vista genetico: certamente un padre e una figlia e altri livelli di parentela che comprendono probabilmente una zia e una nonna oppure una cugina.
Per la prima volta grazie agli studi di paleogenetica si è quindi riusciti a ricostruire un’intera famiglia neandertaliana. Le due grotte, vicine fra di loro, paiono essere connesse dagli spostamenti soprattutto delle donne, come dimostrano gli studi sul DNA mitocondriale in comune fra i due gruppi. Gli strumenti scientifici a nostra disposizione non possono al momento chiarire come e perché vi sia questa predominanza negli spostamenti femminili, se si tratti di un fenomeno volontario oppure in qualche modo forzato.
Tutti gli individui vissero e morirono più o meno negli stessi anni, erano una vera famiglia
Tutti i campioni sono risultati al limite della databilità misurabile tramite la tecnica del radiocarbonio e la combinazione con la tecnica dell’orologio genetico ha permesso d stimare in 54.000 anni fa l’epoca in cui vissero gli individui oggetto dello studio, grazie anche alla comparazione con i risultati analoghi già precedentemente ottenuti su resti di animali rinvenuti sempre nelle stesse grotte.
Le ricerche degli ultimi anni dimostrano che l’ibridazione fra Homo sapiens e Neandertal ebbe effettivamente luogo e che a tutt’oggi circa il 2% del nostro genoma (media globale, variabile fra gli individui e i gruppi etnici) è un’eredità neandertaliana, ma non è chiaro se sia avvenuto anche il contrario ovvero se i Neandertal avessero acquisito parte del genoma dei Sapiens: è per esempio possibile che l’ibridazione fosse possibile solo fra un maschio di Sapiens e una femmina Neandertal? È un’ipotesi, speriamo i prossimi studi paleogenetici possano fare luce su questo e ulteriori aspetti dell’evoluzione umana.
La ricerca Genetic insights into the social organization of Neanderthals è stata pubblicata su Nature (2022).
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