La passione è la prima cosa: quante volte abbiamo sentito dire questa frase e quante altre ne abbiamo constatata la veridicità? Tante e a queste possiamo aggiungere l’esperienza di Corrado Govoni, uno dei poeti italiani del Novecento.
Nonostante le numerose difficoltà, personali ed economiche, Govoni ha sempre coltivato la passione per la poesia, componendo testi che, sia pur inseriti in correnti differenti, sono entrati nelle antologie della letteratura italiana del secolo scorso.
I primi passi, fra l’azienda di famiglia e le poesie
Nato in provincia di Ferrara nel 1884 da un’agiata famiglia di agricoltori, il poeta si inserì presto nell’azienda gestita dai genitori, e altrettanto presto manifestò il suo debole per la poesia. Nemmeno ventenne pubblicò, a proprie spese, le prime due raccolte di poesie.
Le fiale e Armonie in grigio e in silenzio si distinguono per i toni crepuscolari, ma non sanciscono la completa adesione di Govoni alla corrente; chissà, forse complice la giovane età, pochi anni dopo diede alle stampe un’altra opera i cui toni sono però tipici del Futurismo.
Govoni strinse amicizia con Filippo Tommaso Marinetti, uno dei poeti italiani più famosi di sempre, si trasferì a Milano, allora capitale dell’avanguardia, e aderì al movimento. Eppure, il fuoco per il futurismo si raffreddò presto nella sua poesia.
Negli anni successivi l’influenza futurista cedette talvolta il passo alla poesia della vita, dei sensi, della natura talaltra a una poesia accostabile al movimento ermetico che all’epoca non era ancora in voga.
Nella vita, nel frattempo, aveva accumulato diverse esperienze di collaborazione con riviste letterarie e aveva messo su famiglia: dopo aver sposato Teresa, era diventato padre di tre figli, Aladino, Ariel e Mario.
L’alternarsi delle fortune economiche è una costante nella vita di Govoni: nel 1916 è costretto a vendere i terreni di famiglia e deve dedicarsi a diversi mestieri per sbarcare il lunario. Secondo alcune fonti, Govoni fu, fra le altre cose, allevatore di cigni e di serpenti a sonagli.
Gli anni del Fascismo e la morte del figlio Aladino
In una situazione così difficile, possiamo immaginare con quale entusiasmo Govoni accolse l’incarico di vicedirettore della sezione del libro alla SIAE presso il Ministero della cultura popolare, conferitogli negli anni del regime fascista.
In questi anni, Govoni compose numerose opere, fra cui un inno a Mussolini verso il quale nutriva sentimenti di gratitudine per le occasioni professionali che in quegli anni si erano concretizzate. Eppure, i tormenti per Govoni non erano ancora finiti.
Nel 1944, infatti, suo figlio Aladino, dopo una lunga tortura, fu ucciso nella strage delle Fosse Ardeatine: l’omonima poesia contiene tutto il dolore che il padre ha provato per l’immensa tragedia, dolore che viene descritto facendo ricorso a toni violenti.
Gli ultimi anni della vita sono ancora caratterizzati dalle difficoltà economiche, alternati a momenti di gloria: è del 1950 il conferimento del Premio Viareggio di poesia ed è del 1963 il Premio Nazionale Letterario Pisa. Si spegne a Roma nel 1965.
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