Il caso unito alla capacità di osservare sono il mix alla base di diverse scoperte in ambito paleontologico: l’occhio attento di un esperto può individuare un fossile laddove un profano vedrebbe solo una roccia. In questo caso Amelia Penny, all’epoca dottoranda presso la Scuola di GeoScienze dell’Università di Edimburgo e oggi ricercatrice presso la Scuola di Biologia dell’Università St Andrews, ha scoperto nel 2017 il più grande pterosauro del Giurassico grazie alla collaborazione della bassa marea sull’isola di Skye, in Scozia.
Il nome attribuito alla nuova specie portata alla luce nel sito di Rubha nam Brathairean (Brothers’ Point) è Dearc sgiathanach e possiede un doppio significato: “rettile alato” e “rettile di Skye”. Esso è infatti ispirato al nome gaelico dell’isola di Skye, An t-Eilean Sgitheanach, che può essere tradotto come “l’isola alata”. E l’apertura alare di 2,5 metri lo rendeva un gigante fra i suoi simili nel periodo in cui visse, il Giurassico (fra 201,3 e 145 milioni di anni fa).
Gli pterosauri erano i cugini volanti dei dinosauri
“Dearc è il più grande pterosauro che conosciamo del periodo giurassico e questo ci dice che gli pterosauri cominciarono a raggiungere grandi dimensioni molto prima di quanto pensassimo: assai prima del periodo Cretaceo, quando entrarono in competizione con gli uccelli, e questo è estremamente significativo”, spiega il ricercatore senior Steve Brusatte, professore di paleontologia ed evoluzione presso l’Università di Edimburgo.
Gli pterosauri furono i primi vertebrati a conseguire il volo muscolare, 50 milioni di anni prima degli uccelli. Gli esemplari più antichi risalgono a circa 230 milioni di anni fa, periodo Triassico, e si era finora ritenuto che non avessero raggiunto dimensioni gigantesche fino al Giurassico molto tardo o addirittura solo nel Cretaceo (fra i 145 e i 66 milioni di anni fa).
Per conseguire la capacità di volare gli pterosauri avevano tuttavia bisogno di ossa leggere e delicate, cave e dalle pareti sottili similmente ai moderni uccelli; caratteristiche che implicano i loro resti fossero poco adatti a completare il processo di fossilizzazione, rendendo rari i ritrovamenti di esemplari in buone condizioni dopo decine di milioni di anni.
Il fossile presenta le ossa in ordine nella corretta sequenza
Eppure è proprio quel che si è verificato in questo caso: “Il nostro scheletro, a circa 160 milioni di anni dalla morte, permane in condizioni quasi incontaminate, articolato e quasi completo. I suoi denti aguzzi in grado di ridurre in brandelli i pesci conservano ancora una copertura smaltata lucida come se fosse rimasto in vita fino a poche settimane fa” illustra Natalia Jagielska, dottoranda in paleontologia presso l’Università di Edimburgo e capo ricercatrice di questo studio.
L’analisi della crescita ossea dello pterosauro rivelato che non aveva raggiunto il massimo della crescita. Un individuo giovane, quindi, con dimensioni paragonabili a quelle dei più grandi uccelli volanti odierni ma che probabilmente da adulto avrebbe raggiunto un’apertura alare ancora più ampia.
Le scansioni attraverso la tomografia computerizzata (TC) hanno inoltre rivelato che i lobi ottici del Dearc sgiathanach si presentano particolarmente sviluppati e doveva quindi essere dotato di una vista eccellente. All’epoca in cui visse, quella che oggi è la Scozia si presentava come una regione umida dalle calde acque dove lo pterosauro probabilmente si nutriva di pesci e calamari con le sue zanne affilate e i denti ben sagomati.
Lo studio “A skeleton from the Middle Jurassic of Scotland illuminates an earlier origin of large pterosaurs“ è stato pubblicato sulla rivista Current Biology.