Nella serie TV “Chernobyl”, vediamo chiaramente come, al di là delle apparenze, l’ex URSS, soprattutto dopo il disastro nucleare, avesse iniziato a dialogare con l’Occidente. In realtà però un primo disgelo era iniziato già quattordici anni prima, quando il presidente americano Richard Nixon aveva accettato l’invito, proveniente da Pechino, a recarsi in Cina. Ecco come andò quella visita storica, di cui si parla poco nei libri di storia.
Il 15 luglio 1971, il presidente americano Richard Nixon si rivolse alla nazione in una trasmissione televisiva, in diretta, per fare un annuncio inaspettato: aveva accettato l’invito di Pechino a diventare il primo presidente degli Stati Uniti a visitare la Repubblica Popolare Cinese, una nazione comunista di 750 milioni di abitanti che, insieme all’Unione Sovietica, fino a quel momento era stato uno dei suoi più feroci avversari durante la Guerra Fredda.
“Ho deciso di intraprendere questa azione a causa della mia profonda convinzione che tutte le nazioni trarranno vantaggio da una riduzione delle tensioni e da un migliore rapporto tra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese” affermò Nixon nel suo discorso.
L’annuncio a sorpresa era il frutto di mesi di diplomazia top secret tra la Casa Bianca di Nixon e i vertici di Pechino. Nixon, da sempre un fan dei “grandi show”, aveva grandi speranze per il suo viaggio in Cina e si augurava che sarebbe stato il tipo di evento geopolitico sismico che avrebbe cambiato la storia.
Aveva ragione. Nelle parole di uno dei suoi ambasciatori, la visita di otto giorni di Nixon in Cina, avvenuta nel febbraio del 1972, fu “la settimana che cambiò il mondo” e alterò sostanzialmente l’equilibrio di potere tra Stati Uniti, Cina e Unione Sovietica.
Stati Uniti-Cina: com’erano le relazioni prima della visita del presidente Nixon
Quando Richard Nixon entrò in carica nel 1969, nello stesso anno cadeva il ventesimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese e anche il ventesimo anno in cui le relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e la Cina comunista erano congelate.
Le due parti non si parlavano da decenni e gli Stati Uniti erano in guerra con i comunisti nordvietnamiti nel “cortile di casa” della Cina.
Lo stesso Nixon si era guadagnato presto la fama politica di falco anticomunista con la sua ricerca di Alger Hiss, un ex funzionario del Dipartimento di Stato accusato di spionaggio per conto dell’Unione Sovietica.
Il più recente contatto diplomatico tra gli Stati Uniti e la Cina era avvenuto nel 1954, quando gli alti funzionari di entrambe le nazioni avevano partecipato alla Convenzione di Ginevra per negoziare i nuovi confini politici tra la Corea del Nord e la Corea del Sud e tra il Vietnam del Nord e il Vietnam del Sud.
Alla conferenza, John Foster Dulles, allora segretario di stato sotto il presidente Dwight D.Eisenhower, aveva platealmente rifiutato di stringere la mano a Zhou Enlai, il premier cinese e capo negoziatore.
Verso la fine dei caotici anni Sessanta, tuttavia, l’amministrazione Nixon stava affrontando diverse sfide importanti: una guerra disastrosa in Vietnam, criticata da tutti (soprattutto dai giovani del neonato movimento hippy), conflitti sociali in patria e lo stallo dei negoziati sulle armi nucleari con i sovietici.
Tuttavia, se in pubblico Nixon si descriveva come un intransigente populista, in privato era un attento lettore di libri di storia e un astuto stratega.
Nixon e il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Henry Kissinger, credevano che scongelando le relazioni con i cinesi e portandoli nella “società delle nazioni” (la futura ONU), l’America avrebbe potuto ottenere un nuovo potente alleato nei suoi negoziati con i nordvietnamiti e i sovietici.
Il nemico del mio nemico è mio amico
D’altra parte la Cina, come avrebbero scoperto in seguito gli storici, aveva le sue buone ragioni strategiche per riaprire il dialogo con gli Stati Uniti. Nonostante la condivisione dell’ideologia comunista, c’era molta sfiducia tra l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese.
La leadership della Repubblica Popolare Cinese temeva che i loro vicini sovietici ben armati avessero progetti di espandere i loro territori in Asia. Verso la fine degli anni Sessanta, le frequenti scaramucce di confine tra cinesi e sovietici sfioravano la guerra totale.
Nixon e Kissinger crearono così l’idea di mettere l’Unione Sovietica e la Cina l’una contro l’altra, e con gli Stati Uniti come terzo angolo del triangolo per realizzare un equilibrio stabile di potere. “Il nemico del mio nemico è un mio amico” era un’idea molto nixoniana.
Dal momento che i rapporti diplomatici diretti tra la Cina e gli Stati Uniti erano stati interrotti, Nixon dovette lavorare attraverso canali secondari privati in Pakistan e in Romania per fare un’apertura verso i cinesi, che si dimostrarono molto ricettivi.
In un raro riconoscimento pubblico del rapporto di disgelo, la Repubblica Popolare Cinese invitò la squadra di ping pong degli Stati Uniti a una serie di giochi espositivi a Pechino nel 1971, uno scambio culturale che diventò poi noto come “diplomazia del ping-pong”.
Il più grande “colpo di stato” fu però la visita segreta di Kissinger a Pechino nel 1971 per incontrare faccia a faccia il leader cinese Zhou Enlai.
Durante un viaggio diplomatico in Pakistan, Kissinger finse di avere una malattia allo stomaco che lo avrebbe tenuto rinchiuso nella sua stanza d’albergo per diversi giorni.
Giunta la notte, però, Kissinger salì a bordo di un jet pakistano privato diretto a Pechino, dove chiese personalmente alla leadership della Repubblica Popolare Cinese di approvare una visita ufficiale di stato del presidente Nixon.
In un cablogramma inviato poi alla Casa Bianca, Kissinger condivise la buona notizia con Nixon con una parola: “Eureka”.
La stretta di mano che scosse il mondo
L’annuncio di Nixon del suo imminente viaggio in Cina fu uno shock per la maggior parte degli americani, ma l’audace gesto politico ottenne rapidamente il sostegno popolare.
La critica più aspra alla visita non arrivò dall’opposizione liberale, ma dai conservatori dello stesso partito di Nixon, che pensavano fosse un tradimento nei confronti di Taiwan, da dove il governo anticomunista cinese era stato costretto a fuggire dopo aver perso la guerra civile.
I discorsi su Taiwan però potevano attendere. L’intenzione di Nixon con la sua visita era di proiettare buona volontà e cooperazione e far conoscere gli Stati Uniti in tutto il mondo come terza superpotenza mondiale, nonché come importante alleato economico e ostacolo strategico nei negoziati con i sovietici.
Ogni momento della visita venne pianificato con cura e messo in scena, con le telecamere televisive che lo trasmisero a un pubblico rapito in tutto il mondo.
E Nixon sapeva anche che nessun singolo evento, mai ripreso e trasmesso dalla televisione, era più importante della prima in cui si sarebbe incontrato faccia a faccia con Zhou Enlai, lo stesso uomo che il segretario di stato degli Stati Uniti, nel 1954, aveva pubblicamente snobbato.
Il 21 febbraio 1972 l’Air Force One atterrò a Pechino. Dopo aver dato istruzioni al suo staff di aspettare a bordo dell’aereo, Nixon scese per primo le scale con la moglie Patty, che indossava un lungo cappotto rosso, un colore di grande importanza per la Repubblica Popolare Cinese, e tese la mano con entusiasmo per salutare il premier cinese comunista.
Gli Stati Uniti avevano letteralmente voltato le spalle a Zhou Enlai nel 1954, quindi per Nixon tendergli la mano significava dargli un chiaro segnale che i tempi erano cambiati e che l’America era pronta ad abbracciare i cinesi. Fu una scena che passò alla storia.
Subito dopo il trasferimento di Nixon in albergo, al presidente americano venne detto che Mao Zedong, l’anziano “presidente” della rivoluzione comunista, voleva incontrarlo.
Nonostante Mao fosse malato, i due chiacchierarono per un’ora, mentre le telecamere riprendevano i due leader mondiali che sorridevano e scherzavano tra di loro.
Entrambi gli uomini erano consapevoli del significato storico di ciò che stavano facendo ed entrambi erano showmen a modo loro.
I sovietici si avvicinano al tavolo delle negoziazioni
La storica visita di Nixon fu il momento più alto di una presidenza poi macchiata dallo scandalo Watergate, e dalle successive dimissioni del presidente Nixon, nel 1974.
Sebbene la visita sia stata un vantaggio per le pubbliche relazioni per entrambe le nazioni, Nixon e Kissinger non riuscirono a ottenere l’aiuto della Cina per porre fine alla guerra in Vietnam, né a compiere reali progressi sullo status di Taiwan.
Tuttavia riuscirono a raggiungere un obiettivo politico ancora più alto di quello che si era prefissato Nixon, ovvero riallineare l’equilibrio di potere sulla scena globale.
I sovietici, che in precedenza avevano rifiutato le richieste di limitare il loro arsenale nucleare, cambiarono atteggiamento quando Nixon riaprì i colloqui con la Cina.
Appena due mesi dopo il ritorno da Pechino, Nixon partì di nuovo per Mosca, dove lui e Leonid Breznev firmarono il Trattato per la Limitazione delle Armi Strategiche e fecero piani per un accordo congiunto Stati Uniti-URSS per un volo spaziale nel 1975.
Di Francesca Orelli
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