La diffidenza verso lo straniero tradisce comportamenti sempre uguali nel tempo. Sembra una frase fatta, ma non è: ieri come oggi, la paura del diverso in letteratura è una testimonianza incontrovertibile che certi atteggiamenti non sono cambiati, nonostante i secoli.
Xenofobia in letteratura: il caso di Plauto
Risalendo all’Antica Roma, troviamo un chiaro esempio di paura per il diverso in letteratura con Plauto. Nell’opera teatrale “Curculio” (“Il parassita”) leggiamo locuzioni dal seguente tenore: poco socievoli, troppo dediti al vino e di umore cupo.
In termini assoluti, queste caratteristiche sono osservazioni che possono essere attribuite senza difficoltà a qualsiasi straniero, qualsiasi diverso in ogni tempo e in ogni luogo. Plauto le utilizza per gli stranieri della sua epoca, i Greci.
Più specificatamente, Plauto descrisse i Greci come fannulloni improduttivi, avvolti nei loro mantelli, carichi di libri e abituati a utilizzare paroloni. Il tono usato è chiaramente sprezzante e ripetuto in diverse altre opere di Plauto (fra cui “Asinaria”, “Captives” o “Bacchides”).
Stupisce apprendere che Plauto disprezzava i Greci: l’autore latino era un profondo conoscitore del greco e proprio dalla letteratura ellenica ha attinto generosamente ispirazione per personaggi, intrecci e tematiche della propria produzione di commedie.
Plauto disprezzava i Greci? Per quali possibili motivi?
Dunque, Plauto disprezzava i Greci oppure no? Per cercare di dare una risposta a questa domanda, è sicuramente utile contestualizzare il periodo storico in cui Plauto compose le proprie opere: siamo nel II secolo a.C. e i Greci sono l’etnia che più minaccia, dal punto di vista sociale, Roma.
Nel Sud Italia, per esempio, rappresentavano una solida fonte di concorrenza ai commercianti per la loro abilità nel settore; più in generale, comunque, i Greci ambivano ad acquisire la cittadinanza romana.
In ogni Stato, lo status di cittadino conferisce privilegi particolari; nell’Antica Roma l’essere cives dava, ad esempio, titolo per la redistribuzione delle terre ai veterani. Comprensibilmente, i cittadini tendono a osteggiare l’estensione della cittadinanza per non pregiudicare i propri diritti.
Oltre a ciò, i Greci avevano una mentalità e costumi troppo distanti da quella dei Romani: la reazione fu una serrata chiusura dei Romani e un attaccamento alle proprie origini, alle usanze e tradizioni (il mos maiorum).
Non sappiamo se Plauto condividesse la reazione del popolo romano alla “minaccia” rappresentata dai Greci o se dovette adeguare la propria produzione al sentimento dominante per permettere al pubblico di apprezzare le opere e, quindi, per continuare a essere rappresentato.
A prescindere, la produzione di Plauto rappresenta oggi un esempio di xenofobia in letteratura e costituisce una testimonianza attendibile sull’atteggiamento della Roma dei tempi, ostinatamente legata alla difesa delle proprie tradizioni a discapito delle novità rappresentate dalla mentalità greca.
Un comportamento non molto differente da quello che, nei secoli e per secoli, molte culture hanno applicato nei confronti di quanti costituissero una minaccia, reale o presunta, e che la letteratura ha raccontato, testimoniato e tramandato.
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