Il 15 ottobre è il giorno del ritorno in ufficio per molti impiegati che, dopo mesi di smart working, tornano dietro le loro scrivanie. Lasciamo alle sedi opportune i giudizi sull’esperienza di lavoro da casa e cogliamo l’occasione per dare un’occhiata alla figura dell’impiegato nella letteratura.
L’impiegato nella letteratura: la figura di monssù Travet
Il lavoro impiegatizio narrato dagli scrittori non è particolarmente edificante: fagocitati dalla macchina burocratica, dalle “scartoffie” e dalla ripetitività del lavoro, gli impiegati che la letteratura ha immortalato non sono certo personaggi da prendere a modello.
A livello internazionale, hanno dato vita a impiegati entrati nella storia della letteratura Cechov, Gogol’, Miller fra gli altri, con connotazioni piuttosto negative; ma non hanno avuto sorte migliore gli impiegati nati dalle penne di scrittori italiani.
Il primo, in ordine di tempo, è monssù Travet, l’impiegato torinese protagonista della commedia in dialetto piemontese di Vittorio Bersezio. Pragmatico e bonario, Travet affronta con serenità le difficoltà quotidiane.
Sebbene monssù Travet abbia i numeri per diventare un modello positivo, nel tempo è diventato stereotipo dell’impiagato, del lavoratore d’ufficio che, senza prospettive di carriere, si adegua a svolgere lavori ripetitivi e monotoni.
L’impiegato nella letteratura: “La morte in banca” di Pontiggia
Lo scrittore Giuseppe Pontiggia ebbe una breve esperienza impiegatizia in gioventù che volle ricordare con un racconto, La morte in banca, il cui protagonista è Carabba, un adolescente che ottiene un posto fisso in banca.
Nel leggere “La morte in banca” di Pontiggia balzano all’occhio e incuriosiscono i cambiamenti nel rapporto di lavoro, in senso giuridico, da allora a oggi; ma poche, pochissime sono le differenze che riscontriamo nell’ambiente e nei rapporti interpersonali raccontati.
Invidie e gelosie, amarezza e scontentezza sono i sentimenti che dominano e che tratteggiano con cupo pessimismo la vita dell’impiegato. Carabba, forte dell’entusiasmo della sua età, cercherà di resistere, di reagire, di opporsi a una deriva che sembra (e sarà) inesorabile.
Lo stereotipo di Travet e la sconfitta di Carabba sentenziano che trovare modelli positivi di impiegati nella letteratura non è semplice e, tutto sommato, spiace: il lavoro d’ufficio ha un’utilità che spesso sottovalutiamo e che andrebbe sicuramente valorizzato.
E non parliamo solo di letteratura: la letteratura trae linfa dalla vita reale e la sfida per il mondo del lavoro di oggi, cioè trarre le dovute valutazioni sullo smart working, è il presupposto delle nuove produzioni letterarie del domani.
Chissà cosa succederà nella regolamentazione del mondo impiegatizio post pandemia: dal lavoro di ufficio (o casa? o casa-ufficio?) che ne uscirà, riusciremo a leggere racconti, storie di impiegati modelli positivi?