Un analogo dell’odierno cambiamento climatico ebbe luogo 55 milioni di anni fa, segnando il passaggio fra il Paleocene e l’Eocene: tale evento è comunemente noto come Massimo termico del Paleocene-Eocene, abbreviato nell’acronimo PETM (dall’inglese Paleocene-Eocene Thermal Maximum).
In un periodo di circa 20.000 anni (molti su scala umana ma un battito di ciglia in termini geologici) la temperatura globale media crebbe di un valore compreso fra i 5 e gli 8 gradi causando pesanti conseguenze sugli ecosistemi, mettendo in seria difficoltà specie animali e vegetali fin verso l’estremo dell’estinzione.
Ras Gharib, importante porto egiziano sul Mar Rosso
La formazione geologica Ras Gharib A si trova a 180 km a sud di Suez. Qui un team internazionale di ricercatori ha trovato fossili di pesci marini che potrebbero gettare nuova luce su come queste creature affrontarono il cambiamento nelle temperature oceaniche.
Comprendere come la vita abbia reagito alla crisi del PETM è di grande importanza, ma proprio gli oceani tropicali sono un’area finora poco esplorata, in relazione a quel periodo, causa la scarsità di reperti raccolti.
La resilienza della vita marina
E i campioni individuati nell’Egitto sudorientale portano i ricercatori a ritenere i pesci che abitavano gli oceani all’inizio dell’Eocene siano riusciti in qualche modo a fronteggiare con successo gli eventi che pensavano li avessero travolti: l’ecosistema raccontato dai fossili dei pesci dotati di struttura ossea illustra piuttosto un ambiente che ha generato non un’ampia crisi ma un adattamento e una diversificazione verso i gruppi di pesci principali che oggi popolano i nostri mari, analogamente a quanto avvenuto per i mammiferi terrestri.
I fossili ritrovati in uno strato di argillite includono una dozzina di gruppi tipici dell’Eocene tra cui Percomorphaceae, Sternoptychidae e gli Osteoglossiformes, i cui discendenti vivono oggi nelle acque dolci. In massima parte, si tratta degli antenati dei pesci che ancora oggi vivono nei nostri mari, alcuni davvero ben conosciuti. Ma quasi tutti presentavano dimensioni ridotte, entro i due centimetri e mezzo di lunghezza.
Pesci tropicali in Danimarca
Il genere rappresentato in maggior quantità è il Mene, con una sessantina di esemplari: essi vivono ancora oggi ma solo in alcune aree tropicali e subtropicali dell’oceano Pacifico e Indiano. Ma ne sono stati ritrovati anche nella zona dell’attuale Scandinavia, risalenti sempre al PETM: segno che all’epoca le acque erano a quelle latitudini tanto calde da poterli ospitare.
Ma allora perché un riscaldamento globale in grado di spazzare via l’ecosistema delle barriere coralline non ha avuto lo stesso effetto su altre creature? Secondo i ricercatori, la risposta a un determinato evento è diversificata e coinvolge numerosi aspetti che riguardano anche l’interazione fra diversi gruppi. Animali a conchiglia come le vongole paiono non essersi nemmeno accorti del cambiamento mentre il plankton si adattò.
Solo un primo sguardo su un mondo sconosciuto
Il caso dei pesci rinvenuti in Egitto non è ancora ben collocato nel suo ambiente: si tratta in effetti del primo passo nell’esplorazione di una parte di mondo di cui si sa pochissimo. Potrebbe essere la testimonianza della sopravvivenza di un gruppo isolato che in una zona delimitata si è trovato nelle condizioni ambientali ideali per prosperare.
Se quindi la temperatura nella superficie degli oceani potrebbe, secondo le stime, aver raggiunto una media di 35 gradi nelle regioni tropicali, potrebbero essersi create delle oasi miti come il sito di Ras Gharib A, su cui in effetti non è stato ancora possibile ottenere dati precisi riguardo in proposito.
Potrebbero anche essersi verificati eventi come la risalita di acqua fresca dalle profondità degli oceani o i pesci stessi potrebbero essersi adattati alla vita a profondità più basse al fine di sfuggire al surriscaldamento della superficie. O ancora semplicemente si sono rivelati più resistenti alle avversità di quanto finora ritenuto: dopotutto, si erano evoluti durante un’era, il Cenozoico, in cui la temperatura era già di qualche grado superiore a quella odierna.
Come sottolinea Matt Friedman, fra gli autori della ricerca, l’analogia fra il PETM e il cambiamento climatico attuale ha i suoi limiti: all’epoca, come dicevamo, l’incremento delle temperature globali di 5-8 gradi si verificò lungo migliaia di anni, mentre allo stato attuale l’incremento di 3-4 gradi potrebbe essere raggiunto in pochi secoli, evidenziando l’unicità della crisi corrente.
Per maggiori informazioni: “Diverse marine fish assemblages inhabited the paleotropics during the Paleocene-Eocene thermal maximum“ di Sanaa El-Sayed, Matt Friedman, Tarek Anan, Mahmoud A. Faris e Hesham Sallam, pubblicato su Geology (2021).