“Amor sacro e Amor profano” è una delle opere più note di Tiziano Vecellio e rappresenta uno dei dipinti più misteriosi e discussi di tutta la storia dell’arte. Datata al 1515, la grande tela (larga circa tre metri e alta più di uno) si trova conservata presso l’ultima sala della Galleria Borghese a Roma.
Descrizione e analisi dell’opera
Protagoniste del dipinto sono due giovani donne disposte ai lati di una vasca marmorea, posizionata al centro della scena e decorata con un fregio classico. Le due donne sono raffigurate con la stessa fisionomia ed indicano la doppia natura insita in ogni persona: la figura sulla sinistra, abbigliata con una ricca veste bianca e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, rappresenta l’Amore sacro, mentre quella sulla destra, raffigurata seminuda e avvolta da un drappo rosso, rappresenta l’Amore profano.
Tra le due donne, è raffigurato un putto alato (identificabile con Eros, dio dell’Amore) che rimesta con una mano le acque della vasca. L’intera scena è ambientata in un paesaggio bucolico, ispirato agli scorci tipicamente veneti, dove sullo sfondo si vedono due scenari contrapposti divisi dall’albero alle spalle del putto: sulla sinistra si trova un paesaggio montano, dove si scorge la torre di un castello, mentre sulla destra vediamo un paesaggio lacustre al tramonto, caratterizzato da forme più morbide e colori più caldi ed in cui si vede il campanile di una chiesa.
Interpretazione dell’opera
Il titolo con cui è conosciuta l’opera deriva dalle varie interpretazioni che sono state attribuite al dipinto dai curatori degli inventari della Galleria Borghese. Il titolo “Amor sacro e Amor profano” è stato utilizzato da Giuseppe Vasi nella sua guida del 1792 e rimanda ad una lettura in chiave moralistica. Seppur non corretto, questo titolo è quello che ancora oggi è universalmente utilizzato per indicare il capolavoro di Tiziano e che descrive al meglio il dualismo che caratterizza il tema del dipinto.
L’interpretazione più plausibile è quella che lega l’opera alla celebrazione delle nozze avvenute nel 1514 fra Niccolò Aurelio (segretario del Consiglio dei Dieci) e Laura Bagarotto, figlia del padovano Bertuccio Bagarotto, giustiziato pochi anni prima con l’accusa di aver tradito la Repubblica di Venezia durante il periodo delle guerre d’Italia. L’interpretazione nuziale, oggi la più accreditata, alluderebbe alla duplice natura del matrimonio: da un lato la “castità”, legata alla sfera pubblica della sposa, dall’altro la “sessualità”, legata invece alla sfera privata.
Altre interpretazioni
Secondo un’interpretazione letteraria di Franz Wickhoff del 1895, Tiziano si ispirò al settimo libro delle Argonautiche di Valerio Flacco, per cui la donna nuda rappresenterebbe Venere che cerca di convincere Medea (la donna vestita) a recarsi nel bosco per incontrare Giasone. L’opera di Tiziano andrebbe letta, in questo senso, come un invito all’amore.
Un’altra interpretazione in chiave letteraria è quella di Louis Hourticq (1917), secondo cui il dipinto s’ispirerebbe al romanzo allegorico di Francesco Colonna, il Sogno di Polifilo(Hypnerotomachia Poliphili). Le due donne rappresenterebbero Polia e Venere, mentre le scene della decorazione della vasca rimanderebbero ad alcuni episodi del suddetto racconto.
L’interpretazione in chiave filosofica vede, invece, il dipinto legato al pensiero neoplatonico di Marsilio Ficino. Secondo alcuni studiosi, tra cui Erwin Panofsky, il tema dell’opera fu suggerito da Pietro Bembo, amico di Tiziano che fu molto vicino alla filosofia neoplatonica. Secondo Panofsky, il dipinto raffigurerebbe la Venere celeste (nuda) e la Venere terrena (vestita). Secondo la teoria di Edgar Wind (1948), invece, il dipinto raffigurerebbe un’allegoria dell’iniziazione all’amore, dove la Bellezza (Pulchritudo, la donna vestita) viene condotta al Piacere (Voluptas, la donna nuda) per mezzo dell’Amore (il putto alato).