Storia

Autografomania: l’ossessione dei cacciatori…di autografi delle star! (II parte)

La caccia agli autografi si scatenò anche a causa dell’arrivo di nuove tecnologie, che resero la scrittura a mano più preziosa. E i “demoni degli autografi”, pur di avere la firma autentica dei loro idoli, non esitavano a ricorrere a metodi poco ortodossi e, addirittura, all’inganno.

Un altro motivo per cui si scatenò la caccia agli autografi, fu un altro fattore non di poco conto.

Il XIX secolo fu anche un’era di nuove tecnologie multimediali, che minacciavano il primato della scrittura a mano come mezzo di comunicazione a distanza.

La frase “il diavolo dell’autografo” iniziò a proliferare poco dopo l’introduzione delle macchine da scrivere commerciali nel 1874.

Durante i tre anni successivi, sia il telefono sia il fonografo arrivarono sulla scena, consentendo alla voce umana di arrivare ben oltre il corpo, una qualità precedentemente riservata alle parole scritte.

1893: il debutto del teleautografo

Nel 1893 debuttò un’altra invenzione che diede inizio alla forma più patologica dell’autografomania: il teleautografo.

Cugino del telegrafo, questo dispositivo venne descritto dal Savannah Tribune come una penna lunga 1000 miglia, che iniziava a Boston e terminava a Chicago, con la conseguenza che la presenza di un uomo non era più necessaria in un luogo per apporre un autografo.

Una firma, quindi, poteva essere fatta trovandosi a chilometri di distanza.

La ricerca del contatto da parte dei cacciatori di autografi

Proprio a causa, e per colpa, del teleautografo, i cacciatori di autografi del XIX secolo iniziarono a ricercare una forma morente di intimità, rendendo la vita delle prime star decisamente impossibile (un po’ come oggi).

Il demone dell’autografo cercava l’autenticità, il che spesso significava ricorrere all’inganno, perché una firma rilasciata sotto coercizione non era meglio di un timbro di gomma.

Un collezionista di New Orleans, citato nel Wisconsin Weekly Advocate del 1900, credeva che, nella caccia agli autografi, il fine giustificava sempre i mezzi, e non importa quanto potessero essere meschini.

Una tecnica efficace era quella di scrivere agli autori e di porre loro domande oscure, sperando di provocare una risposta sconcertata e firmata.

Il collezionista, nell’articolo, elencava poi alcuni argomenti di successo: Wienerwurst, soprabiti di gomma, occhi di vetro, cleptomania, maiali istruiti, marmellate, torta fredda, serpenti marini e altro ancora.

Eppure c’era qualcosa di simile all’onore anche tra i demoni. The Spectator elogiò John Horne, autore di The Diversions of an Autograph-Hunter (1895), per aver condotto il suo inseguimento “in modo sportivo”.

Il collezionismo di autografi in Gran Bretagna e in Europa: un discendente della passione per il bric-à-brac

In Gran Bretagna, come nel resto dell’Europa, il collezionismo di autografi emerse come una propaggine del fascino vittoriano per il bric-à-brac.

Mentre il “conoscitore” del XVII e del XVIII secolo si concentrava più sulle arti, adesso erano le curiosità e le stranezze ad attirare l’attenzione generale.

Mummie, alghe e firme di personaggi famosi diventarono preziosissime acquisizioni. Tanto che, anche la Famiglia Reale Inglese, non riuscì a sottrarsi.

La regina Vittoria, per esempio, ricevette in regalo un autografo dal principe e dalla principessa del Galles nel 1887 e collezionò firme sulle pieghe del suo abito fino alla sua morte, avvenuta nel 1901.

E non è un caso che l’autografomania si sviluppò proprio nel cuore dell’Impero Britannico prima di diffondersi nel resto dell’Europa.

Sia per questi collezionisti, sia per loro nazione, una collezionista “imperiale con le maiuscole”, era un grande privilegio.

Il collezionismo infatti diventò un mezzo per acquisire potere, status e una nuova immagine di sé.

I “rituali autografi” più insoliti

Se pensate che, le fan di oggi, siano strane quando chiedono di farsi autografare la maglietta o i pantaloncini da qualche star dello sport, ebbene, sappiate che questa moda nacque…tra il 1880 e il 1890!

In quel periodo diverse tendenze alla moda cominciarono a iniettare migliaia di firme nella società americana.

La “targa autografata”, per esempio, univa il collezionismo al corteggiamento. I dischi di cartone venivano realizzati con spazi per 50 nomi.

Una volta che il disco era pieno, il suo proprietario poteva ricevere 5 dollari, che potevano essere utilizzati per pagare la compagnia produttrice della targa per un calco in bone china.

Era un ottimo schema per le ragazze che avevano poco, o nulla, da fare e le firme erano molto richieste.

Altri rituali autografi nacquero intorno al tavolo da pranzo. La tovaglia autografata, per esempio, era l’ultima moda del 1890.

Realizzata con un metro quadrato di lino, ricamato a punto Kensington, conteneva gli autografi dei conoscenti più illustri o degli amici più cari.

Ciò che oggi ci sembra kitsch, una volta aveva grandi connotazioni europee.

Tre anni dopo, nel 1893, un giornale affermò che queste tovaglie erano l’ultima mania a Vienna.

Questa mania poi si spostò dal tavolo alla camera da letto, visto che, a partire dal 1903, le trapunte autografate diventarono di gran moda.

C’erano anche altri oggetti che esibivano la scrittura a mano su diverse parti del corpo.

Si diceva che gli anelli con sigillo incisi con autografi fossero di tendenza a Washington DC nel 1885. E una sposa belga affascinò tutti i rotocalchi internazionali con la sua idea di utilizzare il suo abito da sposa come libro per gli ospiti nel 1900.

Tre anni più tardi, nel 1903, un operatore del telegrafo, P.W.Williams, esibì un cappello da cowboy da dieci galloni, coperto di firme di celebrità, mentre invia messaggi a stazioni lontane.

Di Francesca Orelli

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