Non esisteva (e non esiste tuttora) un rimedio noto disponibile per aiutare le persone affette da autografomania. Diffusa in lungo e in largo alla fine del XIX secolo, l’ossessione di collezionare autografi delle celebrità tenne tutti gli uomini, di ogni condizione sociale, nella sua morsa mortale.
“Nessuno amerà i miei animali domestici come li ho amati io” scrisse l’avvocato Adrian H.Joline al termine del suo libro Meditazioni di un collezionista di autografi (1902).
Non stava parlando di cani o di gatti, ma di manufatti scritti a mano:
“Li guardo dall’alto in basso, quasi come si potrebbe fare con i bambini che bisogna lasciarsi alle spalle.”
Joline era uno dei tanti collezionisti che soffrivano di ciò che un bibliotecario del XIX secolo, Theodore F.Dwight, aveva diagnosticato come autografomania, ovvero un’ossessione collettiva, che si sviluppò in America e in Europa tra il 1880 e il 1890, sia per gli autografi delle celebrità che per quelli dei familiari stretti.
“C’è qualche vaccinazione possibile per scongiurare la febbre degli autografi?”
A pochi mesi dalle meditazioni di Joline, l’illustratore britannico Harry Furniss pose uno domanda sullo Strand Magazine:
“C’è qualche vaccinazione possibile per scongiurare la febbre degli autografi?”
Un altro collezionista rispose:
“La febbre degli autografi stringe ogni sorta e condizione di uomini nella sua stretta mortale.”
Che entrambi avessero usato il linguaggio della malattia, rivela la posta in gioco e la gravità della “febbre”.
Il pittoresco passatempo di una persona era la consumante infatuazione di un’altra.
Nello stesso anno P.G.Wodehouse scrisse un racconto per Punch, che parlava di un uomo “passato in salvo attraverso un forte attacco di filatelismo”, o collezionismo di francobolli, solo per cadere preda di “un attacco piuttosto brutto di autografomania.”
I cacciatori di autografi: ecco com’erano conosciuti nel XIX secolo
Le persone affette da autografomania, o “cacciatori di autografi”, erano conosciuti con il soprannome di “demoni autografi”. Venivano spesso descritti come originari degli Stati Uniti.
Un resoconto, in un numero del 1887 del Leicester Chronicle, racconta di un demone, proveniente da Chicago, che decise di impersonare un corriere per entrare nella Camera dei Comuni e ficcarsi al volo i biglietti da visita dei membri in tasca.
La riformatrice sociale inglese Laura Ormiston Chant ricevette 1307 richieste di autografi durante il suo tour di quattro mesi negli Stati Uniti nel 1890.
E, in mezzo a una corrispondenza caratteristicamente concisa, Oscar Wilde racconta come impiegò tre segretari mentre percorreva un percorso simile nel 1880: fiori, un altro per firmare autografi e un terzo, non tosato, che aveva il compito di ritagliare fiocchi dalle sue ciocche di capelli, un souvenir che i fan dello scrittore inglese desideravano molto.
Il secondo segretario sviluppò una condizione simile alla sindrome del tunnel carpale, mentre quello che si occupava di fornire “surrogati” di capelli di Oscar Wilde diventò calvo in tarda età.
L’autografomania: un passatempo ben più antico
Sebbene abbia raggiunto il culmine alla fine del XIX secolo, il collezionismo di autografi vanta una storia ben più antica.
L’autografomania iniziò sul serio negli Stati Uniti nel 1810, ma gli studenti tedeschi del XVI secolo raccoglievano già i primi autografi in libri di autografi dedicati allo scopo.
Tieni però presente che, nel XVI secolo, era considerato autografo qualsiasi tipo di scrittura a mano, quindi non solo la firma.
Solo verso la fine del XIX secolo il passatempo diventò patologico, quando forze culturali e commerciali più vaste rivitalizzarono quelli che oggi chiamiamo autografi.
Il dilagare del collezionismo di autografi: i principali fattori che lo causarono
Parecchie tesi possono essere portare a sostegno del perché l’autografomania sia dilagata fino a diventare una vera e propria piaga per le celebrità.
Concise, infatti, con l’ascesa delle star transatlantiche, della formalizzazione degli assegni firmati come strumento monetario e di un mercato emergente per la rivendita delle firme.
Il XIX secolo fu anche il periodo in cui la scrittura a mano acquisì un’aura ritrovata grazie alla popolarità della chirografia e della grafologia: tentativi pseudoscientifici di trovare una corrispondenza tra il carattere morale di una persona e la forma dei suoi caratteri scarabocchiati.
La calligrafia impiegata nella criminologia: l’analisi degli autografi
Dopo che Charles J.Guiteau assassinò il presidente James A.Garfield nel 1881, ci fu una raffica di discussioni sulla sua calligrafia.
Un’ispezione dell’autografo, infatti, diede la prova decisiva del suo nervosismo nella sua formazione, in particolare la C molto allungata e le linee curve irregolari.
Il criminologo Cesare Lombroso approfondì ulteriormente questa equazione. Nel 1878 aggiornò il suo influente libro L’Uomo Criminale per includere una sezione sulla scrittura a mano, sostenendo che la grafologia non solo rivela la colpa di una persona per le azioni passate, ma anche la probabilità che commetta crimini futuri.
Di Francesca Orelli
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