Amplificata l’efficienza dei perovskiti nella produzione di energia elettrica dal Sole
Una ricerca fra Stati Uniti e Francia ha condotto alla possibilità di incrementare di colpo e in modo impressionante l’efficienza dei perovskiti nell’ambito della produzione diretta di energia elettrica attraverso celle fotovoltaiche. Le ricadute della scoperta potrebbero rivelarsi di significativo effetto in ambito pratico.
I perovskiti sono dei materiali dalla struttura cristallina reticolare noti in realtà da tempo ma che solo in anni recenti sono entrati di prepotenza nella ricerca legata alla produzione di energia pulita, affiancandosi al consolidato utilizzo del silicio nella fabbricazione delle celle fotovoltaiche.
La perovskite presenta vantaggi ma anche dei limiti: molto efficiente nella produzione di energia, è però soggetta a rapida degradazione dovuta ai raggi solari stessi e soprattutto all’umidità. Le ricerche si sono per questo indirizzate, proficuamente, verso un utilizzo ibrido perovskite-silicio e nello sviluppo di perovskiti bidimensionali, ovvero film sottilissimi, a livello atomico.
I perovskiti bidimensionali respingono l’umidità e risultano infatti estremamente stabili ma l’efficienza cala parecchio rispetto ai perovskiti tridimensionali. Una delle soluzioni allo studio consiste ancora una volta nel combinare i due materiali, ricoprendo la perovskite 3D con quella 2D, in modo che agisca come una sorta di barriera protettiva.
Gli atomi si avvicinano, la perovskite è come una spugna che viene strizzata
Ma ecco la sorpresa emersa durante una ricerca guidata dal professor Aditya Mohite della Rice University (Texas) in collaborazione con altri istituti: la luce solare stessa provoca una sorta di effetto booster sulla perovskite bidimensionale, facendone incrementare di colpo l’efficienza.
Come spiega con un’analogia Joe Strzalka dell’Argonne National Laboratory, coautore della ricerca, osservare il filmato dell’interno di un motore mentre è in azione fornisce molte più informazioni rispetto a una singola immagine catturata, uno snapshot. Grazie all’Advanced Photon Source’s ultrabright X-rays dell’Argonne è stato possibile osservare il comportamento della perovskite nelle condizioni desiderate.
I risultati dicono che dopo un’esposizione di dieci minuti a una simulazione dei raggi solari e mantenendo stabile la temperatura, il film di perovskite si contrae dello 0,4% in lunghezza e dell’1% in altezza. Nell’esperimento di controllo, il team di Strzalka ha tenuto al buio la stanza e alzato la temperatura, ottenendo il risultato inverso: la perovskite si è espansa. La contrazione è quindi dovuta proprio alla luce.
Potrebbe sembrare una variazione minima, ma questa contrazione nella struttura reticolare facilita enormemente il fluire degli elettroni, esso risulta addirittura triplicato per intensità. E nello stesso tempo proprio la natura reticolare rende questo materiale meno affetto dal problema del degrado, persino se la temperatura viene alzata a 80° Celsius.
Una volta spenta la fonte luminosa, la perovskite torna rapidamente alla sua configurazione iniziale.
Questa piccola contrazione che riduce lo spazio fra gli atomi porta l’efficienza della perovskite bidimensionale al 18%. Considerando che in questo genere di ricerca si considera ottimo un incremento dell’ordine di una frazione di percentuale, diventa comprensibile l’entusiasmo dei ricercatori. L’efficienza della perovskite in questo settore è balzata in dieci anni dal 3% al 25%, considerando la meno stabile versione 3D.
Il fenomeno è stato confermato dall’Istituto di Elettronica e Tecnologie Digitali (INSA) di Rennes, Francia
Il 25% è proprio generalmente ritenuto il limite di efficienza oltre il quale la tecnologia fotovoltaica diventa conveniente e competitiva con le altre fonti di energia; limite di fatto già superato con l’affinamento della tecnologia al silicio e della combinazione silicio-perovskite, ma la nuova scoperta induce a ritenere imminente il raggiungimento del 30%, una volta perfezionati gli studi e ottimizzate le tecnologie applicative.
Anche l’idea di ricoprire uno spesso blocco di perovskite tridimensionale con uno bidimensionale potrebbe essere rivista e si potrebbe puntare sull’utilizzo esclusivo del materiale in 2D, magari combinato col silicio. Intanto l’APS è in proprio in questo periodo in fase di upgrade e in futuro sarà in grado di fornire immagini ai raggi X 500 volte più luminose, permettendo una più chiara rilevazione dei cambiamenti all’interno della perovskite e portando a maggiori possibilità di ottimizzazione del materiale.
Fonte: “Light-activated interlayer contraction in two-dimensional perovskites for high-efficiency solar cells”, Nature Nanotechnology (2021).