21 Novembre 2024
L'esopianeta GJ 1133 b

Rappresentazione artistica dell'esopianeta GJ 1132 b: ubicato a 41 anni luce di distanza, ha dimensioni e densità simili alla Terra, ma è più vicino alla sua stella di quanto lo sia Mercurio al Sole (Credit: NASA, ESA e R. Hurt (IPAC/Caltech))

Un tempo circondato da una spessa atmosfera di idrogeno, il pianeta GJ 1132 b ne ha generata una seconda più sottile e alimentata in continuazione

Si chiama GJ 1132 b, è ubicato a 41 anni luce da noi e secondo i dati ottenuti tramite il telescopio spaziale Hubble questo pianeta presenta una caratteristica particolare: l’atmosfera di cui è dotato sarebbe infatti la seconda, dopo aver perso la prima.

L’esopianeta appartiene alla categoria definita sub-nettuniani o mininettuno; ma la spessa atmosfera di idrogeno ed elio che gli conferiva un diametro pari a diverse volte quello della Terra sarebbe stata presto spazzata via dall’attività della giovane e calda nana rossa attorno a cui orbita. Questo tipo di stella è peculiarmente inquieto, con frequenti e intense tempeste magnetiche e di radiazioni che investono i pianeti più vicini.

Il cuore di pietra dei nettuniani

Privato dell’atmosfera, sarebbe rimasto il cuore roccioso del pianeta, con dimensioni ora simili a quelle della Terra. Tuttavia le osservazioni di Hubble combinate con le deduzioni derivanti da modelli teorici applicati a simulazioni computerizzate portano gli astronomi a ritenere che l’attuale atmosfera composta di idrogeno, acido cianidrico e metano deriverebbe da parte dell’atmosfera originale assorbita dal magma che fluisce nel mantello del corpo roccioso, lentamente rilasciata a formare una nuova coltre.

Si tratterebbe di un vero e proprio ciclo continuo nel quale il gas disperso nello spazio viene di volta in volta rimpiazzato da quello prodotto tramite vulcanismo. L’atmosfera presenterebbe inoltre una sorta di foschia, un aerosol a base di idrocarburi generati attraverso un processo fotochimico similmente allo smog sulla Terra.

La scoperta di questa atmosfera di seconda generazione potrebbe avere grandi implicazioni nello studio degli esopianeti e nel comprendere la loro evoluzione: diversi pianeti di tipo terrestre potrebbero essere nati come sub-nettuniani, perdere l’atmosfera quando il loro sole era giovane e iperattivo ed essere semplicemente rimasti in attesa che esso divenisse più maturo e quieto, rigenerando continuamente la propria atmosfera fino al momento in cui si raggiunse un livello di stabilità nel sistema stellare.

I gemelli diversi

Il GJ 1132 b che vediamo oggi presenta molti aspetti in comune con la Terra: dimensioni e densità sostanzialmente identiche, così come l’età di circa 4,5 miliardi di anni e un’atmosfera iniziale a base d’idrogeno. Le osservazioni indicano che anche la pressione atmosferica al livello della superficie dovrebbe essere parimenti simile.

Altrettante sono le differenze, a partire dalle modalità di formazione, il nostro pianeta non dovrebbe essere un ex sub-nettuniano, e la distanza dalla propria stella: l’orbita di GJ 1132 b è talmente stretta che la completa in un giorno e mezzo. È la durata del suo anno. Si trova, proprio a causa della vicinanza, in orbita sincrona ovvero mostra sempre la stessa faccia al suo sole come la Luna con la Terra.

Sottile e fragile come il guscio d’un uovo

Le forze di marea sarebbero responsabili della costante attività vulcanica: similmente a quanto accade su Io, satellite di Giove, il periodico avvicinarsi e allontanarsi dalla stella attraverso l’orbita ellittica fa sì che le forze di marea stringano e allentino la presa sul corpo roccioso come una mano che comprime e rilascia una pallina da tennis: alla lunga si produce rilascio di energia sotto forma di calore per il fenomeno della frizione.

I ricercatori ritengono la crosta solida del pianeta sia molto sottile, dell’ordine di poche centinaia di metri, forse continuamente frammentata dal ciclo delle forze mareali che danno alla superficie l’aspetto di una sorta di mosaico in perenne mutazione, anche in questo caso analogamente a quel che vediamo su Io.

Un così sottile involucro solido non dovrebbe essere sufficiente a permettere il crearsi di strutture vulcaniche a cono, ma questo è uno degli aspetti che potrà essere indagato tramite l’analisi della radiazione infrarossa consentita dal telescopio spaziale Webb, ormai prossimo al lancio.

Lo studio a opera di ricercatori del Goddard Space Flight Center e Jet Propulsion Laboratory della NASA in collaborazione col Space Telescope Science Institute è di prossima pubblicazione sul The Astronomical Journal.

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