Oggi le alternative al latte su base vegetale sono in auge sia per motivi salutistici che etici, a seconda delle scelte del singolo individuo. C’è anche chi storce il naso considerandole una sorta di stranezza estranea alla nostra cultura, ma non è esattamente così ed è evidente soprattutto in relazione al latte di mandorla.
L’antico uso nella medicina
Non è in realtà ben chiara l’origine del latte di mandorla, ma se ne trovano descrizioni già nel mondo arabo di 1200 anni fa e probabilmente il suo consumo risale, per rimanere nella stessa area geografica, all’antica Persia. Di certo di esso parla un famoso trattato medico, l’Al-Risalah al-Dhahabiah (traducibile come Il Trattato d’Oro) attribuito ad Ali ibn Musa al-Ridha (765–818), ottavo imam degli sciiti. L’opera tratta di cure mediche e delle pratiche atte a preservare la salute e in questo ambito il latte di mandorle viene indicato come rimedio contro la tosse e per il respiro affannoso.
Nei secoli immediatamente successivi iniziò l’apprezzamento dell’Europa verso la cucina che oggi definiremmo mediorientale, facilitata dal dominio arabo sulla penisola iberica; proprio in questo modo furono introdotte nel Vecchio Continente le abitudini a usare spezie che oggi diamo per scontate ma anche ingredienti come lo zucchero e persino lo zafferano.
Alla conquista della cucina nordeuropea
Anche in questo caso, non è noto il periodo esatto in cui il latte di mandorla fece il suo ingresso nelle cucine europee, ma nel Libellus De Arte Coquinaria, datato all’inizio del Tredicesimo secolo, l’ingrediente veniva già menzionato e costituisce una presenza stabile nei ricettari dei quattrocento anni successivi.
Analogamente a oggi, era visto come un sostituto del latte di mucca ma per ragioni differenti: all’epoca erano infatti più rigorosamente seguite prescrizioni della religione cristiana quali il divieto di mangiare non solo carne ma anche alimenti di derivazione animale in periodi come la Quaresima.
Il latte di mandorla ha l’apparenza e anche un sapore simile al latte bovino e veniva considerato perciò un adeguato espediente per poter continuare mangiare senza infrangere i precetti religiosi.
Il suo uso rimase nel complesso comune almeno fino al 1600, nonostante nel Nord Europa fosse piuttosto costoso considerando che difficilmente poteva venire coltivato in loco per via delle condizioni climatiche; era sicuramente più a buon mercato e alla portata di una fetta maggiore delle popolazioni di quelle aree mediterranee adatte invece alla coltura.
Cambiano i gusti
Avvenne poi un cambiamento culturale dovuto forse all’allentamento delle restrizioni da parte della Chiesa e a partire dal 1700 il latte di mandorla pian piano sparisce dalle tavole europee, con le nuove abitudini che vedevano l’affermarsi del salato, del saporito, per i piatti principali riservando il gusto dolce per… bè, i dolci! Ma anche qui il latte di mucca cominciò a prendere il posto di quello di mandorla persino in ricette tradizionali e che oggi diamo per scontato siano sempre state a base di latte di origine animale.
Da allora non si è quasi più sentito parlare delle alternative vegetali al latte fino al Ventesimo secolo grazie a prese di coscienza relative agli stili di vita delle persone e alle problematiche etiche e ambientali legate agli allevamenti intensivi.
Oggi il latte di mandorla rimane il più consumato nel mondo occidentale seguito dal crescente gradimento per il latte di soia (le cui testimonianze scritte in oriente risalgono a quasi duemila anni fa) o il latte d’avena soprattutto, e ancora, nel Nord Europa dov’è particolarmente apprezzato nell’uso abbinato al caffè per i risultati ottenibili paragonabili al latte di mucca.