Le lastre di vetro ricoperte da un’emulsione sono rimaste in uso in ambito astronomico, non soppiantate dalla pellicola per via della maggiore capacità di catturare le fonti luminose deboli, dalla fine del Diciannovesimo secolo agli anni 70 del Ventesimo, quando l’elettronica iniziò a garantire risultati di qualità superiore grazie ai sensori CCD (Couple Charged Device).
Esiste quindi un’enorme quantità di lastre fotografiche, parliamo di parecchi milioni, in attesa di essere convertite in file digitali per un più facile accesso da parte dei ricercatori di tutto il mondo. Al momento però tale lavoro è stato completato su soli 400.000 esemplari. Tali testimonianze sono infatti tutt’altro che inutili e vetuste ma costituiscono un prezioso archivio di un secolo di osservazioni della volta celeste con relative registrazioni di eventuali cambiamenti occorsi nel tempo.
Uno scanner come a casa, ma serve una qualità astronomica
Il processo di acquisizione è di per sé relativamente semplice: si tratta di ripulire accuratamente la lastra da ogni particella di polvere e acquisire un’immagine di qualità elevatissima grazie a uno scanner. Tuttavia è necessario che il lavoro sia davvero accurato, di grande qualità, e che riesca a registrare in formato digitale anche le fonti luminose più flebili catturate sulle lastre, a loro volta calibrate in base al telescopio e alle condizioni di osservazione cui venivano letteralmente di volta in volta destinate.
Un team del Dipartimento di Astronomia e Astrofisica dell’Università di Chicago si è messo al lavoro per trovare una procedura più standardizzata ed economica che permetta di procedere spediti nel processo di acquisizione delle immagini e senza l’uso di apparecchiature realizzate appositamente e quindi costose; il processo ideato implica l’uso di uno scanner professionale di elevata qualità ma prodotto industrialmente come l’Epson Expression 12000XL. A questo punto andava selezionato un set specifico di lastre per calibrare e verificare il procedimento.
Lavorando sulla cinquantina di lastre ritenute adatte allo scopo, la sorpresa: in una fotografia scattata nel 1903 ritraente la galassia NGC 7331, ubicata a 45 milioni di anni luce da noi nella costellazione del Pegaso, ecco risaltare un’intensa fonte luminosa del tutto assente dalle immagini odierne dello stesso soggetto.
Eliminate le possibili spiegazioni alternative, da un asteroide a una nova nella Via Lattea, essa viene ora considerata come una candidata supernova e sarebbe la quarta mai individuata in quella specifica galassia.
A capofitto nel passato, a caccia di nuove scoperte
Una scoperta analoga era stata effettuata nel 2016 quando l’analisi di una foto scattata nel 1917 a una nana bianca nota come Stella di Van Maanen rivelò la presenza di quello che dovrebbe essere, se non un esopianeta, un anello di detriti rocciosi intorno all’astro, mentre lo studio delle varie immagini lungo oltre un secolo sono state fondamentali per confermare il comportamento anomalo della Stella di Tabby, balzata all’onore delle cronache per l’ipotesi “superstruttura aliena” (la possibile esistenza di una Sfera di Dyson intorno a essa).
Capita non di rado di catturare informazioni che potrebbero portare a scoperte importanti ma non ce se ne rende conto sul momento perché si stava cercando altro.
Il metodo dell’Università di Chicago si è nel frattempo rivelato valido e il team ha iniziato il lavoro di scannerizzazione delle 175.000 lastre fotografiche conservate presso l’osservatorio Yerkes, del medesimo istituto, fondato nel 1897 e che all’epoca vantava il più grande telescopio rifrattore al mondo.
Per maggiori informazioni, la ricerca in formato PDF è scaricabile qui: “Precise Photometric Measurements from a 1903 Photographic Plate Using a Commercial Scanner.”
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