La Nike di Samotracia rappresenta una delle immagini più note di tutta l’arte classica e la sua popolarità, sin dal momento del suo rinvenimento sul finire del XIX secolo, ha avuto un’enorme influenza culturale sulla società moderna e contemporanea. La scultura ellenistica raffigurante la dea alata della Vittoria è universalmente riconosciuta come simbolo del dinamismo e della velocità e, per la grande notorietà raggiunta in tutto il mondo, è stata oggetto di numerose riproduzioni.
La storia dell’opera
La scultura raffigurante la Nike di Samotracia è stata realizzata in marmo pario intorno al 190 a.C. ed è attribuita allo scultore greco Pitocrito. L’opera fu scolpita in epoca ellenistica per commemorare la vittoria di Rodi nella cosiddetta battaglia dell’Eurimedonte, che vide lo scontro navale fra la piccola flotta rodia, da poco alleatasi con Roma, e la flotta del re di Siria Antioco III, guidata da Annibale.
Per celebrare la vittoria del conflitto, l’isola di Samotracia fece costruire un tempio votivo realizzato su più livelli in onore dei Grandi Dei Cabiri, in cui la Nike di Pitocrito occupava il livello più in alto. Per diversi secoli la scultura rimase all’interno del santuario, per poi scomparire misteriosamente. Fu rinvenuta nella stessa isola in stato frammentario soltanto nell’aprile del 1863, ad opera del viceconsole francese Charles Champoiseau.
L’opera fu così acquistata dalla Francia ed entrò a fra parte della collezione del Museo del Louvre di Parigi. Dopo la sua ricomposizione, la statua fu collocata in cima alla scala Daru, progettato da Hector Lefuel, dove tuttora si trova. L’importante intervento di restauro realizzato tra il 2013 e il 2014 ha permesso di ripristinare il colore originario del marmo pario e di ricostruire tre piume dell’ala sinistra.
Descrizione e analisi
La Nike di Samotracia raffigura la dea alata della Vittoria (“nike” in greco vuole dire “vittoria”), figlia del titano Pallante e della ninfa Stige, e per gli antichi greci rappresentava la personificazione della vittoria nello sport e nella guerra. Lo scultore rappresenta la dea con indosso un chitone, una tunica di stoffa leggera comunemente usata nell’antica Grecia, nel momento in cui si posa sulla prua di una nave da combattimento, che costituisce il basamento della scultura.
La statua, di cui sono andate perdute la testa e le braccia, è un’opera in cui si concentrano l’abilità tecnica dello scultore e il dinamismo: la gamba destra è protesa in avanti, mentre quella sinistra resta indietro, ed il battito d’ali che muove l’intero panneggio sembra frenare l’impeto del volo, accentuato dal petto che sporge in avanti. Il sottile panneggio, che somiglia ad un tessuto bagnato semitrasparente, mette in evidenza l’anatomia della figura e lascia intravedere il corpo sinuoso della dea.