Uno dei problemi relativi a un viaggio verso Marte consiste nel ritorno: la maggior parte del carico lanciato e poi trasportato dovrebbe infatti essere costituito dal propellente: ne serve già parecchio per partire, basti osservare le dimensioni dei serbatoi che alimentano i razzi sulla cui cima troviamo le minuscole capsule che raggiungono la Stazione Spaziale Internazionale. È impensabile dover caricare anche quello necessario al ritorno.
La soluzione ideale sarebbe quindi una volta giunti su Marte poter produrre carburante coi materiali disponibili in loco. Tuttavia i veicoli spaziali attuali fanno uso soprattutto di combinazioni di due elementi allo stato liquido come ossigeno combinato con idrogeno, nel caso per esempio degli Shuttle o dell’Ariane 5, o kerosene, come per il lanciatore Sojuz.
La gravità di Marte è un terzo di quella terrestre, ma doppia rispetto alla Luna
L’idrogeno è dunque il più efficiente e il più usato, anche da compagnie aerospaziali come Lockheed e Boeing, ma fra i lati negativi vi è la necessità di ripulire dopo ogni utilizzo il motore dai residui di carbonio generati dalla reazione. E questo sarebbe di fatto impossibile una volta giunti su Marte.
Esistono diverse tecnologie alternative allo studio o in fase di test pratico, fra cui l’utilizzo del metano. Il Raptor di SpaceX è l’esempio più noto di vettore di questo tipo in via di sviluppo, al momento siamo al livello di test in atmosfera, ma anche Blue Origin e l’Agenzia Spaziale Europea sono al lavoro in questa direzione.
Paul Sabatier, chimico francese vincitore del premio Nobel per la chimica nel 1912
Il processo noto come reazione di Sabatier è utilizzato dal 2010 a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per la produzione di acqua recuperando l’idrogeno (uno “scarto” della produzione di ossigeno) e l’anidride carbonica generata dal respiro stesso degli astronauti. Entrambi gli elementi venivano in precedenza semplicemente espulsi all’esterno della stazione.
Adesso a venire espulso è l’elemento secondario del processo, ovvero il metano. La reazione di Sabatier potrebbe quindi tornare utile su Marte, ma servono pressione ed energie elevate con relativa attrezzatura, un vero e proprio impianto, per metterla in atto.
Le proprietà catalitiche dello zinco sono già note e apprezzate in diversi ambiti
Un team dell’Università della California, Irvine, ha scoperto un sistema di catalizzazione che potrebbe gettare le basi per rendere più pratici e fattibili eventuali missioni su Marte. In questo caso i ricercatori hanno disperso singoli atomi di zinco su un supporto microporoso in carbonio in grado di generare un processo di catalizzazione efficiente attraverso un dispositivo più semplice rispetto a soluzioni alternative, dimostrandosi nei test anche altamente stabile.
Il fattore importante è dato dalla riduzione da due a un solo passaggio: con il nuovo sistema, la produzione di metano deriva dall’utilizzo diretto di acqua con anidride carbonica (quest’ultima presente nell’atmosfera marziana), senza necessità di dover prima scindere l’acqua stessa in idrogeno e ossigeno. Ciò contribuisce a rendere il sistema più pratico e anche “trasportabile”, caratteristica fondamentale nei viaggi interplanetari.
Allo stato attuale siamo di fronte a una dimostrazione ottenuta in laboratorio e i ricercatori sono ben consapevoli ancora molta ricerca sia necessaria prima di poter trasferire in pratica questi primi risultati, che sono nondimeno ritenuti molto promettenti.
Fonte: “Stable and Efficient Single-Atom Zn Catalyst for CO2 Reduction to CH4”, Journal of the American Chemical Society.