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Ricercatori sviluppano catalizzatore per riciclare la plastica a basse temperature

La plastica ha cambiato le nostre vite: è un materiale pratico, versatile, dai mille usi. Non ultimo, è fondamentale dal punto di vista dell’igiene e della sicurezza, come ci ha oltretutto ben ricordato l’intero 2020. Tuttavia, il lato negativo è ben noto: l’inquinamento ambientale, con conseguenze dirette e sempre più massicce proprio sulla nostra salute, a causa dei lunghissimi tempi di degradazione.

Di entrambi gli aspetti sono ben consapevoli Masazumi Tamura e Keiichi Tomishige, ricercatori rispettivamente presso le Università giapponesi di Osaka e del Tohoku, coautori di uno studio su un nuovo catalizzatore dalle proprietà ottimali per un’efficace riciclo della plastica e in particolare delle polioliefine, che includono materiali ben conosciuti quali il polipropilene e il polietilene, usati massicciamente per le loro qualità ma difficili da riciclare.

La difficoltà nel riciclo varia enormemente a seconda del tipo di plastica

Ma proprio queste caratteristiche fisiche rendono arduo il compito dei catalizzatori, sostanze utilizzate per indurre (o accelerare e facilitare) trasformazioni chimiche nei materiali da trattare. Con le tecniche oggi in uso, un catalizzatore ha bisogno, per poter interagire in modo efficace con le molecole plastiche, di una temperatura di almeno 300 centigradi (573 kelvin), ma si può arrivare anche al doppio.

I ricercatori sono partiti dal presupposto che un catalizzatore in uno stato della materia diverso da quello della plastica si sarebbe potuto rivelare adatto a ottenere le reazioni chimiche desiderate a temperature più basse. Il risultato è stato ottenuto combinando il rutenio, un metallo che si trova nei minerali del platino, con l’ossido di cerio, entrambi elementi già noti come catalizzatori o per altre applicazioni (il secondo per esempio viene usato per la lucidatura del vetro).

Il rutenio non era stato tuttavia prima d’ora considerato come catalizzatore per le plastiche polioliefiniche

Questo approccio ha messo in luce la capacità di questo catalizzatore “eterogeneo” e riutilizzabile di generare reazioni più intense rispetto ad altri catalizzatori a base metallica, nonché di poter lavorare a temperature relativamente basse, dell’ordine dei 200 centigradi. Certo non è il caso di infilarci una mano dentro durante il processo, ma è comunque un sistema più pratico e meno dispendioso in termini energetici rispetto ai 300-600° delle tecniche attuali.

I due ricercatori illustrano inoltre l’elevata percentuale di recupero con l’esempio di una busta da supermercato: con questo procedimento è stato possibile generare materiale di recupero con un’elevata efficienza, fino al 92%: in particolare, al 77% liquido combustibile e al 15% paraffina.

L’auspicio dei ricercatori è quindi poter sfruttare le potenzialità del catalizzatore non solo di liberarsi della plastica intesa come dannoso inquinante ma anche per il recupero di materie prime da poter riutilizzare in ambito industriale.

Per maggiori informazioni: Yosuke Nakaji et al. Low-temperature catalytic upgrading of waste polyolefinic plastics into liquid fuels and waxes, Applied Catalysis B: Environmental (2020).

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