Stando ad un nuovo studio collaborativo dei neuroscienziati dell’UC San Francisco, è stato possibile osservare come i bambini con diagnosi di dislessia presentino una maggiore reattività emotiva rispetto ai bambini senza dislessia.
La ricerca in questione è stata pubblicata il 20 novembre 2020 sulla rivista Cortex, ed ha riguardato un gruppo di bambini con dislessia i quali, guardando video che evocavano emozioni, hanno mostrato delle risposte accentuate rispetto al gruppo di bambini non affetti da questo disturbo specifico dell’apprendimento.
La conduzione dell’esperimento
Presso il laboratorio, 32 bambini di età compresa tra gli 8 ei 12 anni con la classica forma “fonologica” di dislessia (che riguarda la capacità di leggere) e 22 bambini senza dislessia sono stati monitorati attraverso diversi sensori registrando la respirazione, la conduttanza della pelle e la frequenza cardiaca, oltre alle loro espressioni facciali.
Tutte le registrazioni sono state filmate mentre guardavano brevi filmati progettati per suscitare emozioni positive e negative specifiche come disgusto o divertimento.
Dallo studio condotto è emerso come i bambini con dislessia esibissero delle espressioni facciali più intense e come questi fossero più reattivi a livello fisiologico durante la visione dei filmati.
Dal punto di vista neurologico, la maggiore reattività emotiva sembra essere correlata ad una connettività più forte tra le aree che costituiscono quella rete del cervello che processa la salienza di uno stimolo, e dal quale dipende anche l’autocoscienza e la capacità di generare emozioni.
Le scansioni attraverso risonanza magnetica funzionale (fMRI), infatti, hanno sottolineato come i bambini dislessici, oltre ad essere più espressivi dal punto di vista comportamentale, mostrassero una connettività maggiore tra la corteccia cingolata anteriore destra e l’insula anteriore destra, aree coinvolte anche nel processamento delle emozioni e nell’empatia.
Dislessia: non solo un punto debole
Attraverso questo risultato, arriva quindi un’altra conferma di come la dislessia possa essere considerata un insieme di caratteristiche che non possono essere considerate esclusivamente cognitive e riguardanti le capacità di lettura e scrittura, ma piuttosto un fenomeno complesso che dipende anche da fattori interpersonali e che può essere gestito attraverso dei sani rapporti sociali e con le proprie figure di attaccamento.
Tra i ragazzi con dislessia, inoltre, quelli con espressioni facciali emotive più evidenti possedevano, secondo un questionario somministrato ai genitori, migliori abilità sociali, ma anche più sintomi depressivi e legati all’ansia.
In ultima analisi, quindi, è possibile considerare i bambini affetti da dislessia come dotati di un fattore sia di rischio che di protezione.
Se da un lato la loro maggiore emotività è in grado di esacerbare una serie di problematiche derivate anche dalle difficoltà scolastiche e dalla stigmatizzazione sociale, dall’altra la stessa emotività può portare a delle relazioni con gli altri più empatiche e piacevoli, così come al maggiore successo in ambiti scolastici e lavorativi.
Quello dei bambini dislessici è un cervello peculiare, che può consentire una capacità superiore di stabilire relazioni sociali, potenziata da connessioni più forti a livello biologico le quali, pur apparendo inizialmente come strategia compensativa, possono diventare un’arma in più per condurre una vita felice, a patto di saperne gestire i punti deboli così come quelli di forza.
Fonti:
Virginia E. Sturm, Ashlin R.K. Roy, Samir Datta, Cheng Wang, Isabel J. Sible, Sarah R. Holley, Christa Watson, Eleanor R. Palser, Nathaniel A. Morris, Giovanni Battistella, Esther Rah, Marita Meyer, Mikhail Pakvasa, Maria Luisa Mandelli, Jessica Deleon, Fumiko Hoeft, Eduardo Caverzasi, Zachary A. Miller, Kevin A. Shapiro, Robert Hendren, Bruce L. Miller, Maria Luisa Gorno-Tempini. Enhanced visceromotor emotional reactivity in dyslexia and its relation to salience network connectivity. Cortex, 2020; DOI: 10.1016/j.cortex.2020.10.022
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