Capita a volte di dare per scontato che l’utilizzo di un dato termine della lingua italiana sia erroneo solo perché si è personalmente sempre fatto uso di una parola che ne costituisce un sinonimo. Ma non sempre è così, si tratta anzi di un’eventualità assai più frequente di quanto si potrebbe immaginare. Vediamo alcuni esempi prendendo come referente il dizionario Treccani.
Sgombro di dubbi non è un pesce incerto
È capitato in più occasioni che l’utilizzo del termine sgombro in luogo di sgombero nell’ambito di una comunicazione giornalistica abbia destato l’ilarità di innumerevoli utenti dei social network i quali lo ritenevano un errore ridicolo e pacchiano. Orbene il termine sgombro deriva dal verbo sgombrare ed è un legittimo sinonimo di sgombero. Si tratta solo di una variante meno diffusa.
Mi si sono intrecciati i diti!
Qualche anno fa impazzò per alcuni mesi il gioco per smartphone chiamato Ruzzle; fra le critiche più frequenti vi era il presunto utilizzo di termini non esistenti nella lingua italiana, ma quasi tutte si basavano su una convinzione pregressa infondata e non confermata da una semplice ricerca su un qualsiasi dizionario.
L’esempio esemplificativo in questo caso è rappresentato dalla parola diti, bollata come un’invenzione di Paolo Villaggio per i celebri film con protagonista il ragionier Fantozzi. In realtà dito vanta due plurali, peraltro non intercambiabili: si usa dita parlando di un insieme come “Le dita delle mani, le dita dei piedi” mentre si dice “I diti indici, i diti pollici”.
Non posso essere un grandangolo, ma obbiettivo sì!
Una convinzione diffusa è che le parole obiettivo e obbiettivo vadano usate con cautela poiché cariche di significati diversi: una persona al di sopra delle parti, che non si lascia influenzare da pregiudizi, un bersaglio o uno scopo, un accessorio fotografico.
In realtà i termini sono sinonimi in tutto e per tutto, come sostantivi e aggettivi e in ogni significato.
Poniamo l’accento sul dubbio
Nelle grammatiche della scuola dell’obbligo è facile trovare l’indicazione relativa al pronome riflessivo sé che perde l’accento quando seguito da stesso o medesimo. In realtà la questione non è così semplice e implica diversità di vedute fra i linguisti oltre alla naturale evoluzione nel comunicare: i conservatori ritengono inutile e ridondante l’accento poiché si reputa sufficiente la presenza di stesso o medesimo per evitare confusione con la forma atona se.
Ma facciamo un paragone con un caso analogo: il do prima persona singolare del verbo dare non richiede l’accento perché è di fatto impossibile confonderlo in qualsiasi contesto con la nota musicale; tuttavia in questo caso la grafia è definitiva e immutabile, mentre per sé si richiederebbe una modifica apposita in quell’unico caso, a danno dell’uniformità grafica. La scelta di usare sempre l’accento ha preso piede negli ultimi decenni e la Treccani stessa rappresenta un esempio autorevole, avendo optato per l’utilizzo di questa forma all’interno della propria enciclopedia.
Di Corrado Festa Bianchet