Quando gli uomini della 42esima divisione “Arcobaleno” trovarono il campo di concentramento di Dachau, lì per lì pensarono di trovarsi davanti ad una struttura di addestramento abbandonata dalle SS d’élite di Adolf Hitler o un campo di prigionieri di guerra. Quando però varcarono i suoi cancelli, quello che scoprirono sarebbe rimasto impresso nei loro occhi (e ricordi) per tutto il tempo in cui sarebbero vissuti.
Quando gli uomini della 42esima divisione “Arcobaleno” arrivarono nella città bavarese di Dachau alla fine della Seconda Guerra Mondiale, si aspettavano di trovare una struttura di addestramento abbandonata dalle SS d’élite di Adolf Hitler o forse un campo di prigionieri di guerra.
Ciò che scoprirono invece sarebbe rimasto impresso nei loro occhi, e nei loro ricordi, per tutto il tempo in cui sarebbero vissuti: mucchi di cadaveri emaciati, dozzine di vagoni pieni di resti umani gravemente decomposti e, forse la cosa più difficile da elaborare, le migliaia di “scheletri ambulanti” che erano riusciti a sopravvivere agli orrori di Dachau, il primo (e più longevo) campo di concentramento nazista.
Quasi nessuno dei soldati, dai generali fino ai soldati semplici, aveva la minima idea di cosa fosse veramente un campo di concentramento, il tipo di condizione in cui avrebbero trovato le persone una volta arrivati lì e il livello di schiavitù, di oppressione e di atrocità che i nazisti avevano perpetrato.
La liberazione di Dachau da parte delle truppe americane, avvenuta il 26 aprile 1945, non era stata la prima liberazione del genere da parte delle truppe alleate.
I sovietici, solo pochi mesi prima, avevano trovato e liberato ciò che restava di Auschwitz e di altri campi di sterminio polacchi
Ma le immagini strazianti, e le testimonianze di prima mano registrate dai liberatori scioccati di Dachau, contribuirono a far conoscere in America gli orrori dell’Olocausto.
Campo di concentramento di Dachau: un “modello” per tutti i lager nazisti
Quando Dachau aprì nel 1933, il famigerato criminale di guerra nazista, Heinrich Himmler, lo battezzò come “il primo campo di concentramento per i prigionieri politici.”
Ed è quello che Dachau diventò nei suoi primi anni: un campo di detenzione, e di lavoro forzato, in cui venivano rinchiusi tutti coloro che erano stati giudicati come “nemici” dal partito nazionalsocialista (nazista).
Sindacalisti, comunisti e socialisti democratici all’inizio, ma alla fine anche rom (zingari), omosessuali, Testimoni di Geova e, naturalmente, ebrei.
L’operazione crudelmente efficiente di Dachau fu in gran parte frutto dell’”ingegno” dell’ufficiale delle SS, Theodor Eike, che istituì una “dottrina di disumanizzazione” basata sul lavoro degli schiavi, sulle punizioni corporali, sulla fustigazione, sul trattenimento del cibo e sulle esecuzioni sommarie di chiunque cercasse di scappare.
I prigionieri di Dachau lavorarono in condizioni brutali, abbattendo una fabbrica massiccia di munizioni risalente alla Prima Guerra Mondiale e costruendo poi le caserme e gli uffici che sarebbero serviti come principale campo di addestramento per le SS.
I prigionieri costruirono persino il loro “campo di custodia protettiva”, ovvero il campo di concentramento vero e proprio, chiamato euforisticamente in questo modo all’interno di Dachau.
Un vasto complesso formato da 32 squallide baracche, circondate da un recinto di filo spinato elettrificato, da un fossato e da sette torri di guardia.
I prigionieri venivano sottoposti ad esperimenti medici, incluse iniezioni di malaria e di tubercolosi, e le centinaia di migliaia di morti per lavori forzati o torture sono stati regolarmente bruciati nel crematorio situato in loco.
Forgiate nel cancello di ferro che separava il campo di concentramento dal resto della cittadina di Dachau, c’erano le parole provocatorie, e tristemente conosciute: Arbeit macht frei (“Il lavoro ti rende libero”).
Dachau fu un tale successo per i nazisti che Eike venne promosso ispettore generale di tutti i campi di concentramento tedeschi, per i quali Dachau diventò presto un “modello”.
Dopo gli eventi della Kistallnacht (“La notte dei cristalli” o “dei vetri rotti”), in cui sinagoghe ebraiche, aziende e case furono distrutte dalla follia nazista in tutta la Germania, un numero sempre più maggiore di ebrei venne rinchiuso a Dachau.
Alla vigilia della liberazione americana di Dachau c’erano 67’665 prigionieri registrati nel campo di concentramento e, di questi, circa un terzo di loro erano ebrei.
Campo di concentramento di Dachau: prima l’odore, poi il treno della morte
Per gli inconsapevoli soldati americani che arrivarono a Dachau alla fine del mese di aprile del 1945, il primo segno che qualcosa non andava, fu l’odore.
Alcuni soldati, addirittura, pensarono di trovarsi sottovento ad una fabbrica chimica, mentre altri paragonarono l’odore acre all’odore disgustoso delle piume bruciate di un pollo spennato.
Nessuna delle loro precedenti esperienze di guerra li aveva preparati a ciò che li attendeva.
Settimane prima, i comandanti nazisti a Buchenwald, un altro famigerato campo di concentramento tedesco, avevano ammassato almeno 3000 prigionieri in 40 vagoni ferroviari per nasconderli dagli eserciti alleati in avvicinamento.
Il treno sarebbe dovuto arrivare a Dachau pochi giorni dopo, ma la tortuosa odissea durò ben tre settimane. E tutti, tranne un quarto dei 3000 passeggeri del treno, erano morti di fame, di disidratazione, di asfissia e di malattie.
I sopravvissuti invece erano stati ammassati nel campo di concentramento, mentre migliaia di cadaveri erano stati lasciati a marcire sui vagoni ferroviari.
Campo di concentramento di Dachau, il racconto dell’esperienza delle truppe americane che entrarono per prime: corpi ammassati “come pezzi di legno”
La vista, e gli odori ripugnanti, del “treno della morte” lasciò molti soldati americani fisicamente malati ed emotivamente scioccati, ma quello era solo un assaggio degli orrori che li aspettavano all’interno del campo di concentramento vero e proprio.
Nelle settimane precedenti la liberazione, i nazisti avevano spedito prigionieri da tutta la Germania fino ad Auschwitz. Come i sopravvissuti del “treno della morte” di Buchenwald, anche questi nuovi arrivati stavano morendo di fame ed erano pieni di malattie, come ad esempio il tifo.
Le guardie della prigione di Dachau ammassarono i nuovi arrivati nelle baracche già sovraffollate, arrivando a raggruppare fino a 1600 uomini in baracche progettate per contenerne al massimo 250.
Fame e malattie dilaniarono il campo, causando la morte di migliaia di prigionieri pochi giorni prima della liberazione.
I nazisti cercarono di cremare quanti più corpi potevano prima di lasciare in fretta e furia Dachau, ma erano troppi. Altri 7000 prigionieri di Dachau, per lo più ebrei, vennero inviati, in quella che poi passò alla storia come “La marcia della morte”, a Tegernsee, nel sud.
Durante questa marcia suicida i ritardatari furono fucilati, mentre migliaia di altri morirono per l’esaurimento.
Quando i soldati americani entrarono nel campo di concentramento di Dachau, trovarono mucchi di cadaveri nudi, la loro pelle tesa sui corpi incredibilmente malnutriti.
In un’intervista dopo l’altra, i soldati descrissero questi cadaveri come “accatastati come pezzi di legna l’uno sopra l’altro”, una metafora che, involontariamente, rubò ai prigionieri deceduti la loro umanità rimanente.
Ma per i soldati americani pensare a quei corpi come ad esseri umani in quel momento sarebbe stato troppo da sopportare
Liberazione del campo di concentramento di Dachau: la “vendetta” dei soldati americani contro i prigionieri nazisti
Quando invece i soldati americani della 45esima divisione “Uccello del tuono” inciamparono nel “treno della morte”, la loro reazione fu come una miccia accesa che non si poteva spegnere.
Gli uomini della 45esima divisione erano stati impegnati in guerra per 500 giorni e pensavano di aver già assistito ad ogni atrocità possibile e immaginabile.
Ma quel treno pieno di corpi innocenti, con gli occhi e la bocca aperti che sembravano chiedere pietà, era troppo persino per loro. Molti dei soldati americani scoppiarono a piangere. Altri cominciarono a covare una rabbia incendiaria.
Quando quattro ufficiali tedeschi emersero dal bosco reggendo in mano un fazzoletto bianco, il tenente William Walsh li fece entrare in uno dei vagoni pieni di cadaveri e li colpì con la sua pistola.
Quando i quattro tedeschi feriti a morte iniziarono a lamentarsi nell’agonia, gli altri soldati americani finirono il lavoro.
All’interno di Dachau, la situazione peggiorò. Si stima che tra i 50 e i 125 ufficiali delle SS e militari tedeschi assortiti, incluso il personale ospedaliero, furono radunati in un deposito per il carbone.
Walsh chiese una mitragliatrice, fucili e un mitragliere, Tommy. Quando i soldati iniziarono a caricare una cintura di proiettili nella mitragliatrice, i prigionieri tedeschi si alzarono e cominciarono a muoversi verso i loro rapitori americani.
Fu allora che Walsh avrebbe tirato fuori la pistola e avrebbe urlato “Facciamogliela pagare!”
Dopo una raffica di armi da fuoco, della durata di 30 secondi, almeno 17 prigionieri tedeschi giacevano morti nel deposito di carbone di Dachau.
Quella è stata la prima, e l’unica, volta in cui i soldati americano hanno eseguito un’esecuzione sommaria in tutte le liberazioni avvenute in molti luoghi.
A dare il via a quella carneficina fu la leadership, perché il comandante della compagnia era così profondamente turbato da quello che ha aveva visto da perdere la ragione. E quando un leader la perde, anche i soldati la perdono.
I soldati americani impreparati ad aiutare i sopravvissuti di Dachau
La principale, tra le tante esperienze traumatiche che aspettavano i liberatori a Dachau, fu l’incontro con i prigionieri sopravvissuti, che erano circa 32mila.
“Scheletri ambulanti” era l’unico modo per descrivere la loro condizione di estrema malattia e malnutrizione.
Cavalcati dal tifo e dai pidocchi, i prigionieri sopraffatti afferrarono le uniformi dei loro liberatori increduli, che pensavano già che la loro tortuosa prova fosse finalmente finita.
Impreparati e non sapendo come prendersi cura di persone in fasi così avanzate di fame, i soldati tirarono fuori le loro razioni C e le barre di Harshey e consegnarono tutto ai prigionieri scheletrici, che ingoiarono subito il cibo. Purtroppo però i loro sistemi digestivi non riuscivano più a sopportare i cibi solidi e, alcuni di loro, morirono.
Decenni dopo, molti di questi soldati americani erano ancora tormentati dal senso di colpa, sia per la repulsione che avevano provato quando avevano visto i prigionieri per la prima volta, sia per averli sovralimentati. Per loro infatti li “avevano uccisi con la gentilezza.”
A peggiorare ulteriormente il senso di colpa era il fatto che i soldati americani non potevano lasciare che i prigionieri liberati lasciassero effettivamente Dachau.
Prima dovevano essere curati per la salute, il che avrebbe richiesto mesi, e poi avrebbero avuto bisogno di un posto in cui andare.
Alcuni dei prigionieri ebrei liberati da Dachau languirono per anni nei campi profughi prima di poter emigrare in luoghi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Palestina.
I soldati americani di Dachau: da liberatori a testimoni
Dopo la liberazione del campo di concentramento di Dachau, i prigionieri mostrarono ai soldati americani dov’erano stati costretti a seppellire i loro compagni ogni giorno.
La maggior parte dei soldati statunitensi che hanno liberato Dachau rimasero pochi giorni nel campo prima di partire per altre missioni.
La cura dei sopravvissuti venne affidata ad unità mediche da combattimento, mentre squadre di ingegneri vennero incaricate di seppellire i cadaveri e di ripulire il lager.
La notizia di ciò che accadde in luoghi come Buchenwald e Dachau si diffuse rapidamente tra i ranghi alleati, e molti soldati e ufficiali arrivarono nei campi di concentramento nei giorni e nelle settimane seguenti alla liberazione per testimoniare le atrocità naziste.
Adolf Hitler si suicidò il giorno dopo la liberazione di Dachau e la sconfitta tedesca era ormai quasi assicurata, ma per molti soldati, vedere Dachau con i loro occhi, diede alla guerra un nuovo significato.
Non stavano combattendo solo un nemico: stavano combattendo il male stesso.
Il generale Dwight D.Eisenhower, insieme ai generali George Patton e Omar Bradley, visitò il campo di concentramento di Ohrdurf meno di una settimana dopo che era stato liberato il 4 aprile 1945.
Era come se Eisenhower sapesse che, un giorno, le atrocità naziste dell’Olocausto sarebbero state liquidate come “esagerazione” o negate a titolo definitivo:
“L’evidenza visiva e la testimonianza verbale della fame, della crudeltà e della bestialità erano così prepotenti da lasciarmi un po’ male…Ho fatto la visita deliberatamente, al fine di essere in grado di fornire prove di prima mano di queste cose se mai, in futuro, si svilupperà la tendenza a definire queste accuse semplicemente “di propaganda””
Di Francesca Orelli
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