La più classica tra le suddivisioni della memoria, nello studio del comportamento umano e dei suoi correlati neurobiologici, è sicuramente quella tra memoria a lungo termine (MLT) e memoria a breve termine (MBT), definita anche come working memory (“memoria di lavoro”).
Per tracciare facilmente una differenza tra le due tipologie di memoria, basta riportare alcuni semplici esempi: la memoria a lungo termine riguarda l’accesso ad informazioni acquisite nel passato, come il ricordo di un avvenimento della propria vita; la memoria a breve termine, invece, è riassumibile nella capacità di ricordare informazioni appena presentate ai nostri sensi, come la ripetizione di una serie numerica appena ascoltata.
Come è risaputo, la memoria a breve termine ha una capacità limitata, la quale ha poco a che vedere con la qualità degli elementi da ricordare: che siano lettere, numeri o parole, solitamente un giovane adulto senza addestramento mnemonico è in grado di tenere a mente circa 7 o 8 oggetti.
Inoltre, senza un’adeguata ripetizione di quegli stessi elementi, solitamente la maggior parte di questi cadono nell’oblio dopo un tempo brevissimo, anche inferiore ai 20 secondi.
Perché la memoria a breve termine viene definita come memoria di lavoro?
Il lavoro che più di tutti ha definito il meccanismo sottostante al concetto di working memory è datato 1990. Alan Baddeley, nel suo celebre modello, discerne tre componenti fondamentali che permettono all’uomo non solo di ricordare, ma anche di “lavorare” su informazioni recenti in modo da rielaborarle e riutilizzarle:
- L’Esecutivo centrale può essere considerato come un sistema supervisore necessariamente flessibile, in grado di regolare i processi cognitivi attraverso la coordinazione degli altri due sistemi, ad esso subordinati, così come di regolare l’attenzione selettiva e l’inibizione di un comportamento, coordinando l’esecuzione di compiti.
- Il Loop Fonologico, invece, si occupa del trattamento dell’informazione sia fonetica che fonologica. Le sue due componenti sono un magazzino fonologico a breve termine, le cui informazioni contenute all’interno decadono velocemente, ed un sistema di ripetizione articolatoria. Proprio questo processo di ripetizione permette il mantenimento di informazioni che altrimenti andrebbero perdute.
- Il Taccuino visuospaziale, infine, riguarda la capacità di elaborazione e mantenimento di informazioni visuo-spaziali, come ad esempio le immagini mentali.
Negli anni 2000, nuovi studi condotti da Beddeley hanno portato alla concettualizzazione di una quarta componente, denominata Buffer episodico; quest’ultima svolgerebbe un ruolo fondamentale nell’interazione tra la memoria di lavoro e la memoria a lungo termine, permettendo il passaggio di informazione tra diversi magazzini.
Le basi neurali della memoria di lavoro
Come spesso accade nell’ambito della neuropsicologia, successivi studi indirizzati a comprendere i correlati neurali nei compiti di memoria hanno permesso di rintracciare diverse aree coinvolte in questo particolare tipo di funzione cerebrale.
In particolare, un lavoro di Ray del 2008 propone le regioni frontoparietali di entrambi gli emisferi come network fondamentali per l’attività della working memory, con una più pronunciata attivazione dell’emisfero sinistro per compiti di memoria di lavoro verbale.
Ancora oggi, in ogni caso, l’argomento rimane piuttosto dibattuto, soprattutto considerando i tanti lavori prettamente neurobiologici indirizzati verso l’attività specifica di particolari gruppi neuronali all’interno della corteccia cerebrale.
fonti:
- Baddeley, A. D. (1990). The development of the concept of working memory: implications and contributions of neuropsychology.
- Baddeley, A. (2000). The episodic buffer: a new component of working memory?. Trends in cognitive sciences, 4(11), 417-423.
- Ray, M. K., Mackay, C. E., Harmer, C. J., & Crow, T. J. (2008). Bilateral generic working memory circuit requires left-lateralized addition for verbal processing. Cerebral Cortex, 18(6), 1421-1428.
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