Gli anni Cinquanta sono ricordati come l’era delle case ideali e delle mogli perfette. A sorpresa, però, è proprio in questo periodo che cominciò a farsi strada una nuova figura: quella della moglie lavoratrice e madre.
Gli anni Cinquanta, nell’immaginario comune, sono visti come gli anni in cui le donne, oltre ad esibire acconciature perfette e labbra rosse, avevano come unico ideale quello di avere una casa da copertura e di essere mogli perfette per i loro mariti.
Niente di più sbagliato, perché questo decennio ha visto anche l’emergere di una figura femminile completamente nuova: quella della donna, moglie sì, ma anche lavoratrice e capace di contribuire, economicamente, al benessere della sua famiglia.
Le donne povere, quando avevano bisogno di guadagnarsi da vivere per le loro famiglie, avevano sempre lavorato, spesso attraverso occupazioni casuali come l’estrazione del carbone, la cura dei bambini e l’affitto di camere ad altri inquilini.
Anni Cinquanta: la rivincita delle mogli…che lavorano
Nell’Italia del Dopoguerra, la proporzione di donne sposate, ma che svolgevano anche un lavoro regolarmente retribuito, è cresciuta notevolmente, passando da circa una su cinque nel 1951 a quasi due su cinque due decenni dopo.
Questo fenomeno fu intravisto per la prima volta durante la Seconda Guerra Mondiale, quando le casalinghe patriottiche furono reclutate per fabbricare munizioni e, di nuovo alla fine degli anni Quaranta, quando le donne furono richiamate in massa nelle fabbriche per aiutare le industrie attive nel ramo dell’esportazione, che stavano vivendo una fase di calo.
Nel 1947, un poster inglese, in cui si stava assistendo allo stesso fenomeno, proclamava:
“La Gran Bretagna è contro di essa! Cerca di liberarti per il lavoro, a tempo pieno o part-time. Nel prossimo grande sforzo, puoi essere una delle donne che invertono le sorti della ripresa.”
Nel corso degli anni Cinquanta tali misure divennero la norma in tempo di pace.
Il matrimonio precoce, le famiglie più piccole e il miglioramento dell’assistenza sanitaria permisero alle madri di prendere in considerazione di tornare a lavorare una volta che i loro figli fossero cresciuti abbastanza da rientrare a scuola.
Ciò segnò anche un cambiamento significativo rispetto ai tempi precedenti, quando il matrimonio segnalava solitamente il ritiro di una donna dal mondo del lavoro retribuito.
L’ascesa delle madri e mogli lavoratrici: come venne vista dai sociologi del tempo
I sociologi chiamarono questo modello emergente “doppio ruolo”. Inoltre, altro fatto nuovo per gli anni Cinquanta, avevano notato che le giovani mogli adesso lavoravano fino alla prima gravidanza, poi si ritiravano a casa per un periodo compreso tra i cinque e i dieci anni, dopodiché rientravano nella forza lavoro, in forma e in salute, nella prima mezza età.
Alla fine degli anni Sessanta, i commentatori dei media erano convinti che fosse avvenuto un cambiamento fondamentale:
“Non molto tempo fa ci si aspettava che le donne scegliessero tra il lavoro e il matrimonio. Oggi invece una ragazza ambiziosa non vede perché non può avere sia il matrimonio sia una carriera.”
Questo giudizio, peraltro, si rivelò molto ottimistico, data la ristretta gamma di posti di lavoro disponibili per una donna sposata che intendeva tornare a guadagnare.
Ed ecco però le cosiddette “mogli di rientro” erano molto richieste nei settori a bassa retribuzione, dove le donne hanno lavorato duramente per decenni, come operaie, addette alle pulizie, cuoche e badanti.
Si potevano però trovare anche opportunità più attraenti per le donne che possedevano qualifiche formali, come ad esempio nell’infermieristica, nell’insegnamento, nella medicina e nel lavoro sociale, tutte professioni in cui le donne single avevano precedentemente lasciato il segno.
Anni Cinquanta: i datori di lavoro diventano più permissivi nei confronti delle donne
Negli anni Cinquanta i datori di lavoro, in particolare quelli che operavano in questi campi, diventarono anche più flessibili e cominciarono a riconoscere alle donne sposate diritti fondamentali come la riqualificazione e gli orari flessibili.
La possibilità di fare carriera all’interno di professioni più prestigiose, come la giurisprudenza, l’università, gli affari e il servizio civile, rimase ancora in gran parte appannaggio dei soli uomini.
Tuttavia questi “piccoli lavori”, come venivano spesso chiamati, rappresentavano un nuovo piacere, e anche un interessante diversivo, per la casalingua del Dopoguerra.
Il lavoro retribuito, anche del tipo più abituale, poteva offrirle un biglietto per il mondo oltre la propria cucina, insieme ad una piccola fetta di indipendenza finanziaria.
Una donna degli anni Cinquanta, che viveva nella parte sud di Londra, descrisse così la sua esperienza come moglie lavoratrice ad un ricercatore:
“Ti senti bene quando ricevi i tuoi soldi il venerdì e sai che li hai guadagnati.”
Un’altra descrivendo la sua situazione precedente, dove non portava a casa un soldo, disse:
“Giravo la stanza solo per fare qualcosa.”
Molte mogli lavoratrici erano orgogliose di aiutare a garantire un extra per le loro famiglie: un taglio di carne più pregiato, vestiti nuovi per i bambini, persino una televisione o un’automobile.
Una casalinga di Swansea, sempre negli anni Cinquanta, parlò del suo giro di giornali del mattino in termini a dir poco entusiastici:
“Incontro persone, faccio due chiacchiere, ascolto le notizie e faccio una passeggiata gloriosa…I miei risparmi stanno lentamente aumentando e la nostra famiglia potrà andare in vacanza quest’anno.”
L’altra faccia della medaglia: cosa pensavano i mariti di questa “rivincita delle mogli”?
Pochi mariti, ovviamente, erano disposti a rinunciare al loro status di capofamiglia, ma per contro riconoscevano i vantaggi di un secondo reddito.
Un saldatore 30enne dell’epoca, parlando della sua esperienza, affermò:
“Con uno solo che lavora in casa, non saremmo stati in grado di comprare le cose che volevamo, né tanto meno di andare in vacanza.”
Alcuni marito, anche se a quei tempi erano ancora casi rari, davano persino una mano a cucinare e a lavare i piatti, oppure mettevano a letto i bambini quando le mogli facevano i turni serali in fabbrica:
“Certo, un marito deve aiutare in casa” scrive un idraulico, “ma ne trarrà vantaggio.”
Attenzione però: “dare una mano” non equivaleva ad una condivisione equa dei lavori domestici e dell’assistenza durante l’infanzia. Questi compiti spettavano ancora alle madri.
Anni Cinquanta: donne sposate e lavoro, il fenomeno del part-time
Molti dei “piccoli lavori” ritenuti adatti per le donne sposate negli anni Cinquanta erano part-time, il che consentiva alle mogli di svolgere i loro doveri tradizionali, ma anche di guadagnare un’entrata supplementare.
Sotto un certo punto di vista, questa era una situazione ideale. Le fabbriche che offrivano la possibilità di scegliere i turni, i congedi non retribuiti durante le vacanze scolastiche o il lavoro stagionale regolare non mancavano certo di reclute volontarie.
D’altro canto i part-time di solito non offrivano promozioni, pensioni o aumenti di stipendio e, i lavoratori che li svolgevano, erano i primi ad essere licenziati quando gli affari si indebolivano.
La promozione del lavoro part-time come “dominio naturale” delle mogli e delle madri, inoltre, diede al governo e ai datori di lavoro pochi incentivi ad investire in asili e doposcuola, un fatto che avrebbe dato molta più scelta alle donne sul tipo di lavoro da svolgere.
Il lavoro part-time contribuì a lasciare fuori i mariti dai guai, perché presentava poche sfide al loro modello di occupazione continua, a tempo pieno, e non richiedeva l’esenzione delle mogli dalla maggior parte delle faccende domestiche.
Malgrado ciò, l’ascesa della moglie e della madre che lavorava si rivelò una vera e propria rivoluzione in tutta Europa e, nello stesso tempo, preparò anche il campo alle femministe, che conobbero il loro massimo apice tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta.
La moglie lavoratrice diventò una figura ordinaria: una donna intraprendente e ben integrata, i cui guadagni permettevano alla sua famiglia di godere dei frutti di una nascente società dei consumi.
Il ritorno al lavoro dopo un periodo casalingo, oltretutto, permise a molte donne di rivendicare una sorta di vita propria al di là del matrimonio e della maternità.
La casalinga del Dopoguerra voleva più di quanto la generazione di sua madre, e di sua nonna, avesse potuto immaginare.
Questi desideri lasciavano presagire una politica di autonomia e di autodeterminazione, che il Movimento di Liberazione delle Donne avrebbe alimentato negli anni Settanta.
Piccoli lavori sì, ma che ebbero grandi effetti.
Di Francesca Orelli
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