Gli amanti del genere horror lo sanno bene: una sensazione di lieve disagio mista all’eccitazione dell’evento inaspettato; l’immedesimazione con i protagonisti che si dividono per cercare di scappare da un luogo che probabilmente diventerà la loro tomba.
Halloween cade alla fine di ottobre, ma ogni momento sembra giusto per riunirsi con gli amici ed assaporare il brivido di un bell’horror d’autore, o anche di film tecnicamente più scadenti che possono comunque regalare uno spavento (o una risata).
Recentemente, un team di ricercatori finlandesi ha cercato di porre nuove basi per comprendere cosa succede nel nostro cervello durante la visione di uno dei generi più amati di sempre.
Lo studio del cervello durante la visione degli horror
I 37 partecipanti allo studio assistevano ad alcuni spezzoni di due film horror abbastanza celebri: Insidious e The Conjouring 2; questi ultimi non sono stati scelti casualmente, ma in base un sondaggio che ha coinvolto poco più di 200 appassionati, i quali hanno designato le due pellicole come quelle più paurose da poter utilizzare.
Nel frattempo, la loro attività cerebrale veniva registrata attraverso una risonanza magnetica funzionale (fMRI), uno strumento che permette di comprendere in tempo reale quali siano le aree del cervello maggiormente operative durante un determinato compito.
Dallo studio è emerso come le aree maggiormente implicate in questo genere di attività dipendano essenzialmente da quanto la “minaccia” percepita all’interno del film sia prossima o meno.
Due forme di paura per due diversi network cerebrali
Nei momenti di preparazione, le aree implicate sono soprattutto quelle che si occupano di compiti sensoriali. La corteccia visiva (nel lobo occipitale), quella uditiva (lobo temporale) e sensitiva (lobo parietale), si accendono, in questa fase, per sondare attentamente l’ambiente.
Similmente ad una situazione reale, si sperimenta una forma di tensione (che potremmo chiamare suspense) definibile come una paura sostenuta utile nel vigilare attentamente e gestire lo stato di allerta.
Di converso, il momento in cui lo stimolo minaccioso si presenta rende maggiormente attive zone sottocorticali come il talamo, l’ippocampo e l’amigdala.
Ma non solo. Anche la corteccia prefronale (implicata nel controllo delle reazioni emotive) e l’insula (tra le cui funzioni è presente l’elaborazione del dolore e la capacità di empatizzare) risultano maggiormente“accese”.
Davanti all’arrivo improvviso del killer, del demone o di qualsiasi altra macabra creatura, in sostanza, si attivano tutte le aree sottocorticali del cervello coinvolte nelle risposte di attacco e fuga, così come quelle corticali che cercano di porre un freno ad una paura che, se non coadiuvata da un minimo di raziocinio, potrebbe portarci a scappare via dal salotto e nasconderci sotto al letto.
Interazione e buona visione
In ultima analisi, questi due network descritti vanno considerati nell’ottica di una continua e reciproca interazione.
La collaborazione tra tutte le aree elencate è quella che permette a tutti noi di godere delle sfumature nei diversi momenti del film, portandoci pian piano da uno stato di agitazione allo spavento vero e proprio.
Come tutte le sensazioni sperimentate, anche quella particolare scaturita da un film dell’orrore non è altro che la derivazione di meccanismi che la natura ci ha donato per sopravvivere, diventati oggi uno strumento utile anche per goderci le serate in compagnia di simpatici amici come Leatherface, lT o la bambola assassina.
Fonti:
Hudson, M., Seppälä, K., Putkinen, V., Sun, L., Glerean, E., Karjalainen, T., … & Nummenmaa, L. (2020). Dissociable neural systems for unconditioned acute and sustained fear. NeuroImage, 116522.
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