21 Novembre 2024
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Quando un’epidemia mortale di tifo colpì il ghetto di Varsavia durante la Seconda Guerra Mondiale, i dottori ebrei aiutarono a fermare la malattia, salvando migliaia di persone.

Più di 400mila ebrei erano stati stipati nel ghetto di 3,4 chilometri quadrati nel Paese occupato dai nazisti e il grave sovraffollamento, unito all’esposizione agli elementi e alla fame, crearono un’incubatrice perfetta per le epidemie.

Quando scoppiò il tifo, nel 1941, avrebbe dovuto devastare la popolazione vulnerabile del ghetto, ma la malattia iniziò a diminuire drasticamente molto prima del previsto.

Ghetto di Varsavia: come i medici ebrei riuscirono a contenere un’epidemia di tifo

I rapidi sforzi di contenimento dell’epidemia da parte della comunità ebraica del ghetto sono riusciti a porvi fine prima che facesse naturalmente il suo corso, risparmiando più di 100mila persone e, probabilmente, prevenendo decine di migliaia di morti.

Il tifo è causato dal batterio Rickettsia prowazekii e viene trasmesso rapidamente da pulci o pidocchi infetti, che viaggiano da persona a persona.

La malattia provoca febbre alta, brividi, tosse e forti dolori muscolari ed è fatale in circa il 40% dei casi se non viene trattata, afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Secondo l’OMS, le epidemie “esplosive” di tifo possono emergere soprattutto quando le persone vivono in condizioni di sovraffollamento con scarsa igiene.

Questo è stato certamente il caso del ghetto di Varsavia. Tutti gli ebrei residenti a Varsavia, uniti ai diversi migliaia giunti dalla Germania, erano stati trasferiti con la forza nel ghetto nel novembre del 1940. Le autorità avevano poi sigillato il ghetto dal resto della città.

Oltre al sovraffollamento, l’acqua e il sapone erano scarsi e le razioni di cibo non erano sufficienti a sostenere la vita: si stima che 83mila ebrei, tra il 1940 e il 1942, morirono di fame e di malattie.

Il ghetto fu infine “liquidato” dai nazisti nel 1943 e gli ebrei che non furono assassinati, furono mandati nei campi di concentramento.

I registri mostrano che un’epidemia di tifo emerse nel ghetto all’inizio del 1941, ma iniziò a sparire alla fine di ottobre dello stesso anno.

A novembre la comparsa di nuovi casi era diminuita del 40% e l’epidemia di tifo si attenuò con solo circa il 10% della popolazione colpita, nonostante l’inverno sia di solito l’alta stagione del tifo.

A quel tempo la ritirata dell’epidemia fu salutata dai reclusi del ghetto come miracolosa, ma le malattie non scompaiono miracolosamente.

Per vedere cosa sia accaduto davvero nel ghetto, i ricercatori hanno utilizzato modelli matematici per mappare la diffusione del tifo tra la popolazione del ghetto, simulando il numero di nuovi casi che avrebbero potuto verificarsi in un’epidemia senza mitigazione della comunità.

Le “attività antiepidemiche” nel ghetto di Varsavia: una lezione importante per la crisi sanitaria attuale

I modelli hanno mostrato che l’epidemia avrebbe dovuto continuare ad infettare le persone durante i mesi autunnali e invernali e avrebbe dovuto colpire quasi ogni persona rinchiusa nel ghetto.

Qualcosa però la fermò – molto probabilmente le attività antiepidemiche del ghetto.

Molte di queste attività, come pure degli interventi antiepidemici, sono ben documentate.

Il ghetto di Varsavia, tra gli ebrei detenuti, aveva molti medici esperti. E alcuni di loro sopravvissero abbastanza a lungo (anche ai campi di concentramento nazisti) per scrivere delle loro esperienze o perlomeno per abbozzarne le basi.

I medici ebrei e i leader della comunità, per prima cosa, imposero le distanze sociale e le quarantene per le persone infette – per quanto possibile nel ghetto altamente sovraffollato – e si fecero promotori della consapevolezza della malattia e dell’importanza dell’igiene.

Arrivarono, addirittura, a formare studenti di medicina in gran segreto. Anche i cambiamenti politici da parte di alcuni nazisti “più umani”, che consentirono ai membri del Consiglio Ebraico di portare più cibo, più acqua e più sapone nel ghetto (al fine di ottenere più lavoro dai suoi abitanti) potrebbero aver aiutato.

Alla fine gli sforzi prolungati e determinati dei medici del ghetto e gli sforzi antiepidemici dei lavoratori della comunità furono ripagati.

La sconfitta di questa malattia mortale, anche in condizioni spaventose e pericolose per la vita, è stato un risultato notevole e direttamente rilevante per l’attuale crisi di Covid-19.

Le azioni degli individui nel praticare l’igiene, l’allontanamento sociale e l’auto isolamento quando sono malati, possono fare un’enorme differenza all’interno della comunità per ridurre la diffusione di un’epidemia.

Di Francesca Orelli

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