La prosopagnosia (o prosopoagnosia) è definibile come un disturbo che compromette la capacità di riconoscere i volti di persone di cui, invece, si sa l’identità. Solitamente, le persone affette da questo genere di deficit riescono a orientarsi attraverso degli espedienti come l’andatura, la postura e ovviamente il tono della voce.
In ogni caso, è necessario tenere in considerazione il fatto che i volti rappresentano stimoli complessi da elaborare. A tal proposito, alcune evidenze dimostrerebbero che questo genere di difficoltà sia attribuibile ad un disturbo generale dell’elaborazione degli stimoli.
Un’interpretazione diversa, invece, ha proposto che la prosopoagnosia sia un vero e proprio disturbo specifico del riconoscimento dei volti. Questa tesi ha trovato conferma in alcuni pazienti che erano in grado di riconoscere stimoli estremamente complessi, pur non riuscendo a fare lo stesso con volti di persone conosciute.
Il modello di Bruce e Young
Nel 1986, Bruce e Young elaborarono un modello che potesse spiegare la prosopagnosia conciliando le due diverse visioni presenti in letteratura.
Questo modello, infatti, prevede cinque diversi stadi di elaborazione di uno stimolo sensoriale. L’elaborazione dei volti, in sostanza, condividerebbe i primi step con tutte le altre tipologie di stimoli complessi, per poi giungere a dei livelli specifici di funzionamento che, se compromessi, porterebbero a problematiche specifiche.
Elaborazione sensoriale visiva: un deficit a questo livello produce una distorsione dell’immagine percepita. In riferimento ai volti, alcuni pazienti dichiarano addirittura di vederli “come se fossero dei quadri di Picasso”
Codifica strutturale: in questo caso i pazienti non riescono a valutare l’età, il sesso e le espressioni di un volto, così come non riescono a distinguerne due diversi. Vengono definiti propagnostici “appercettivi”.
Unità di riconoscimento dei volti: un problema a questo livello porta i soggetti a non saper distinguere i volti familiari da quelli che non lo sono.
Nodo di identità personale: pur riuscendo a riconoscere i dettagli e la familiarità di un volto, i soggetti in tale caso non riescono a fornire informazioni sull’identità di chi osservano. Non sono presenti, quindi, informazioni semantiche come il nome, la professione, l’indirizzo di quella persona.
Attribuzione del nome: il soggetto riconosce i volti familiari ma non riesce ad associare il volto con un nome. A questo livello si parla di prosopoanomia
Il modello, in ogni caso, prevede quindi che esista un determinato livello di elaborazione specifico per i volti, superiore rispetto a quello riguardante l’elaborazione sensoriale percettiva tout court.
Il riconoscimento dei volti risiede in un modulo cerebrale specifico
Successive ricerche hanno confermato come sia possibile considerare la propagnosia come un disturbo dissociabile da altri legati alla percezione. Anche a livello neuroanatomico, le popolazioni neuronali della corteccia temporale inferiore sembrerebbero coinvolti specificatamente nell’elaborazione dell’identificazione dei volti.
Questo a differenza, ad esempio, del riconoscimento delle espressioni facciali e della direzione dello sguardo, attribuibili maggiormente al solco temporale superiore. Questa particolare aree possiede connessioni anche con l’amigdala, una struttura che in seguito a lesione porta anche a deficit di questo genere.
fonti:
McNeil, J. E., & Warrington, E. K. (1993). Prosopagnosia: A face-specific disorder. The Quarterly Journal of Experimental Psychology, 46(1), 1-10.
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