Quando si pensa a un viaggio verso Marte, che si tratti di una sonda automatica o di un’ipotetica missione umana, di solito si prende in considerazione il momento in cui il Pianeta Rosso si trova in opposizione, ovvero dalla parte opposta rispetto al Sole e alla massima vicinanza alla Terra.
Si parla per questo motivo di missione in opposizione. È nondimeno tutt’altro che assurda l’ipotesi di una missione in congiunzione, cioè nel momento in cui Marte si trova dalla parte opposta rispetto al Sole, ben distante da noi.
Un paradosso solo apparente
Un viaggio diretto, senza tappe intermedie, ha certo il vantaggio della minore distanza da percorrere, ma potrebbe non essere il metodo più conveniente e sicuro per raggiungere la meta.
Quando si tratta di viaggiare verso pianeti o altri oggetti diversi da Marte o Venere, i nostri diretti “vicini”, si fa comunemente uso dell’effetto fionda grazie al quale il veicolo effettua un flyby (un sorvolo) o addirittura entra in orbita intorno a un pianeta intermedio prima di raggiungere l’obiettivo finale; è per esempio il caso della sonda Cassini che nel suo viaggio verso Saturno transitò presso Giove o di BepiColombo che per raggiungere Mercurio effettuerà diversi avvicinamenti a Venere (come abbiamo descritto in un precedente articolo).
L’idea era già stata abbozzata negli anni 70, ma oggi ricercatori del Laboratorio di Fisica Applicata della Johns Hopkins University, della North Carolina State University e della NASA hanno approntato uno studio che, ampliandone la fattibilità e gli scopi, illustra i vantaggi di un futuro viaggio umano su Marte in congiunzione piuttosto che in opposizione sfruttando Venere per ottenere l’effetto fionda.
Questa soluzione apporterebbe benefici sia all’ente spaziale che agli astronauti stessi.
Fare tappa intermedia sul Pianeta Verde significherebbe non solo grande risparmio in termini di carburante per via dello sfruttamento della gravità del pianeta per essere “lanciati” verso Marte ma anche una rotta più sicura nel caso qualcosa andasse storto e si rendesse necessario interrompere la missione e ritornare sulla Terra. La finestra per la missione sarebbe anche più favorevole: l’allineamento ideale (minima distanza) per un viaggio verso Marte si verifica ogni 26 mesi mentre nel caso di Venere ogni 19 mesi.
Lo schema allegato illustra in modo visivamente chiaro che questa tipologia di missione non durerebbe più a lungo né comporterebbe un significativo aumento dei rischi per esempio di esposizione a radiazioni cosmiche per gli astronauti rispetto a un viaggio diretto.
In quest’ultimo caso la permanenza su Marte sarebbe molto lunga, poiché per iniziare il viaggio di ritorno bisogna attendere comunque il pianeta vada verso il completamento dell’orbita riavvicinandosi alla Terra. In caso di flyby su Venere la permanenza su Marte sarebbe invece di durata ridotta, ma si avrebbero, dal punto di vista del valore scientifico, due pianeti al costo di meno di uno.
La presenza di un equipaggio umano consentirebbe infatti di condurre su Venere operazioni non possibili tramite sonde automatiche, potendo contare sul controllo diretto “in loco”. Inoltre i tempi necessari per le comunicazioni via radio sarebbero per almeno parte del viaggio ridotti, vista la distanza inferiore. E in viaggi così lunghi anche l’aspetto psicologico nella salute degli esploratori ha una rilevanza tutt’altro che trascurabile.
In realtà si ipotizza anche di realizzare un flyby su Venere come impresa a sé stante. Una missione di questo tipo non sarebbe molto più lunga rispetto a quanto già sperimentato sulla Stazione Spaziale Internazionale, in termini di isolamento e durata, anche se naturalmente essa rimane sempre a breve distanza dall’atmosfera terrestre. Oltre al valore scientifico in sé, questa opzione manterrebbe comunque un valore preparatorio rispetto a Marte, un po’ come l’Apollo 8 che orbitò intorno alla Luna senza però posarvisi.
Di Corrado Festa Bianchet