NASA: come ha scoperto 8000 anni di “civiltà perdute” grazie ad un satellite
Gli archeologi sono stati in grado di scoprire più di 14mila insediamenti antichi nella Siria nord orientale grazie all’aiuto della tecnologia satellitare della Missione di Topografia Radar della NASA.
Gli insediamenti, che appartenevano a piccole comunità vissute 8000 anni fa, erano nascosti nel paesaggio brullo del Medio Oriente, ma i ricercatori hanno dichiarato di avere già indizi “vitali” sulle antiche civiltà che vivevano in questa zona.
Combinando le foto spia-satellite ottenute negli anni Sessanta con le moderne immagini satellitari e le mappe digitali della superficie terrestre, gli archeologi hanno creato un nuovo metodo per mappare su larga scala il movimento umano.
L’archeologo Jason Ur nel 2012: “L’archeologia tradizionale va direttamente alle grandi caratteristiche, ma tende ad ignorare gli insediamenti all’altra estremità dello spettro sociale.”
Il nuovo approccio, utilizzato per mappare i siti risalenti ad otto millenni fa e che si estendono per 23mila chilometri attraverso la Siria nord-orientale, è stato pubblicato negli Atti della National Academy of Sciences.
Jason Ur, un archeologo dell’Università di Harvard e co-autore dello studio, nel 2012 aveva dichiarato:
“L’archeologia tradizionale va direttamente alle grandi caratteristiche – i palazzi e le città – ma tende ad ignorare gli insediamenti all’altra estremità dello spettro sociale. Le persone che abitavano nelle città però da una qualche parte sono venute, quindi dobbiamo rimetterle sulla mappa.”
Lo studio ha aiutato a scoprire le tendenze a lungo termine degli antichi spostamenti nell’area, consentendo agli archeologi di conoscere meglio i nostri antenati.
Graham Philip, un archeologo della Durham University, ha aggiunto:
“Questo tipo di applicazione innovativa su larga scala è ciò che il telerilevamento promette all’archeologia da alcuni anni. Di sicuro ci aiuterà a focalizzare la nostra attenzione sul quadro generale.”
Il metodo satellitare applicato all’archeologia: come funziona
Il metodo satellitare, per arrivare a questo risultato, ha analizzato una firma riflettente distintiva, lasciata nel suolo dall’attività umana, nota come anthrosols.
Costituito da rifiuti organici e architettura, formata da mattoni rudimentali e fango, in decomposizione, le anthrosols sono costituite da livelli più elevati di materia organica, hanno una trama più fine e un aspetto più leggero del suolo “indisturbato”.
Un altro co-autore dello studio, Bjoern Menze, del Massachusetts Institute of Technologym è stato in grado di individuare queste anomalie grazie al suo lavoro quotidiano di identificazione dei tumori nelle immagini cliniche:
“È possibile farlo anche ad occhio nudo usando Google Earth per cercare siti archeologici, ma questo metodo eliminerà la soggettività e definirà le caratteristiche spettrali che rimbalzano su questi siti.”
Il dottor Menze e il dottor Ur hanno anche utilizzato i dati di elevazione digitale raccolti nel 2000 dallo Space Shuttle nell’ambito della Missione di Topografia Radar della NASA.
I ricercatori hanno anche scoperto che una manciata di siti sono inaspettatamente grandi, visto che si trovano vicino a fiumi o in aree in cui cadono piogge abbondanti.
Un insediamento, noto come Tell Brak, si è rivelato molto più grande del previsto rispetto a quello che ci si aspetterebbe di trovare in una zona così marginale. E qui le cose hanno iniziato a farsi interessanti.
Jennifer Pournelle, archeologa del paesaggio presso l’Università della Carolina del Sud, ha affermato:
“Questi risultati confermano le ipotesi che avevo avanzato sul sud dell’Iraq, ovvero che l’irrigazione è un effetto collaterali dell’urbanizzazione. Non è ciò che consente ad una città di svilupparsi, bensì di andare avanti dopo che l’umidità del suolo si è asciugata.”
Questo metodo, ha sottolineato inoltre Pournelle, in futuro offrirà agli archeologi un aiuto prezioso per saperne di più sulle grandi regioni, in particolare quando sono così remote e di difficile accesso a causa delle guerre e dei conflitti tra le popolazioni locali.
Di Francesca Orelli
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