22 Novembre 2024
Una veduta di Yellowstone

Il Grand Prismatic Spring, peculiare e colorata attrazione di Yellowstone, rivela anch'essa la natura vulcanica della zona (Credit immagine: Brocken Inaglory/Wikimedia CC-by-SA 3.0)

Ricercatori inglesi e americani scoprono due ulteriori antiche, devastanti eruzioni del supervulcano di Yellowstone.

Il parco di Yellowstone è divenuto famoso in tutto il mondo negli ultimi decenni in quanto casa di due noti plantigradi, Yoghi e Bubu ed è meta di innumerevoli visitatori per il meraviglioso scenario naturalistico che include geyser, fumarole e acque termali. All’epoca in cui Hannah & Barbera creavano i due popolari personaggi era tuttavia sconosciuta la vera natura di quell’area e dell’origine di questi fenomeni: l’intero parco sorge su quello che si definisce un supervulcano.

Un supervulcano è talmente vasto che a colpo d’occhio non è facile rendersi conto della sua esistenza

Tale struttura non presenta il tipico cono o scudo ma possiede una vastissima caldera la cui esplosione può risultare molto pericolosa dal punto di vista degli effetti sull’ambiente e la vita che lo abita: si ritiene l’ultima eruzione di un supervulcano nota, avvenuta circa 75000 anni fa, abbia portato il genere umano sull’orlo dell’estinzione riducendolo a poche migliaia di individui in tutto il globo. Ciò che resta oggi di quella catastrofe è il lago Toba, in Indonesia: la struttura di 100 km di lunghezza e 30 di larghezza (di cui rispettivamente 87 e 27 occupati dalla superficie del lago) dà l’idea delle dimensioni della camera magmatica sottostante, il cui crollo, una volta svuotata, diede origine alla depressione.

Sono una decina i supervulcani attivi in tutto il mondo

Ecco allora l’interesse nel capire il comportamento dei supervulcani come i Campi Flegrei in Italia o, appunto, lo Yellowstone in nordamerica: soprattutto, ogni quanto eruttano? Finora si era ritenuto avvenisse in media ogni 600.000 anni, e visto che l’ultimo evento risale a 640.000 anni fa l’interesse per la ricerca si è fatto subito intenso.

Ora i ricercatori hanno individuato due ulteriori supereruzioni, avvenute entrambe nel Miocene e più precisamente 9 e 8,7 milioni di anni fa. La seconda di queste, denominata Grey’s Landing, è da considerarsi la più vasta che abbia mai coinvolto quella provincia vulcanica, il 30% più dell’Huckleberry Ridge Tuff, che 2,1 milioni di anni fa espulse 2,200 km³ di materiale dando origine a una grande formazione di tufo mentre un letto di ceneri coprì oltre la metà della superficie degli odierni Stati Uniti.

Gli effetti di una supereruzione si ripercuotono a livello globale

Gli effetti della Grey’s Landing includerebbero la virtuale, immediata sterilizzazione di una superficie pari a quella della Toscana nei dintorni dell’evento e l’immissione di particolato nell’atmosfera, con ricadute di cenere a livello planetario.

Gli autori della ricerca hanno fatto ricorso a numerose discipline scientifiche e metodi di rilievo che spaziano dall’analisi chimica ai rilievi magnetici e radio-isotopici per determinare che i depositi vulcanici presi in esame e sparsi lungo decine di migliaia di chilometri quadrati non appartengono a diversi eruzioni minori, come finora ritenuto, ma a due singoli eventi di immani proporzioni, portando a sei il computo di tali eventi noti, a Yellowstone.

A quando la prossima eruzione?

Queste nuove conoscenze inducono a rivedere la storia, passata e futura, del vulcano: pare nel corso delle decine di milioni di anni abbia perso potenza e mentre nel Miocene le eruzioni si verificavano in media ogni 500.000 mila anni l’attuale ritmo dovrebbe essere di un milione e mezzo di anni.

Naturalmente si tratta di una stima tutt’altro che precisa ma gli studi, basati letteralmente su decenni di raccolte dati e analisi, hanno anche aiutato a mettere a punto una metodologia che si rivelerà utile a sviluppare ulteriormente la conoscenza della caldera dello Yellowstone come dei supervulcani di tutto il mondo, aiutandoci a comprendere come essi influiscano sulla natura stessa del pianeta e lo modellino.

La ricerca, guidata da Thomas Knott dell’Università di Leicester e che include ricercatori della British Geological Survey e dell’Università della California, Santa Cruz, è stata pubblicata sulla rivista Geology.

Di Corrado Festa Bianchet

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