Venere è da sempre considerato il pianeta gemello della Terra, poichè praticamente identico in quanto a massa e dimensioni.
Tuttavia fin dai tempi delle prime sonde automatiche che lo esplorarono in prossimità (nel pieno della corsa alla Luna) fecero svanire i sogni della fantascienza che potesse esser dimora di una civiltà più o meno avanzata oppure un pianeta pieno di forme di vita primitive (prevalentemente simil-preistoriche, visto l’eterno appeal dei dinosauri).
L’evoluzione di un pianeta
La raccolta dei dati derivanti dalle diverse missioni volte a studiarlo hanno tuttavia rivelato come Venere in effetti un tempo presentasse effettivamente condizioni molto simili a quelle terrestri: è di pochi anni fa l’ipotesi che addirittura durante il primo periodo della propria esistenza, da mezzo miliardo a un miliardo di anni, il pianeta abbia ospitato vasti oceani d’acqua, in tutto simili a quelli nostrani.
Un nuovo studio guidato da M. J. Way e Anthony D. Del Genio porta a espandere ulteriormente questa visione, indicando in ben tre miliardi di anni (su 4,6, l’età del sistema solare) il periodo di tempo durante il quale il pianeta verde presentava condizioni ottimali per lo sviluppo della vita.
Rispetto alla Terra, Venere mostra un’estrema vivacità nei flussi di roccia fusa
La differenza fra l’evoluzione della Terra e di Venere potrebbe risiedere nella meccanica della tettonica, guidata da dinamiche diverse sui due pianeti.
Il fenomeno che genera le Grandi Provincie Ignee (Large Igneous Provinces, LIPs), l’emersione di grandi accumuli di rocce magmatiche (oltre centomila km2, un terzo dell’Italia) sulla Terra si verifica in tempi relativamente brevi, su scala geologica, pochi milioni di anni, ma in momenti e luoghi diversi; su Venere invece tutto ciò sarebbe accaduto repentinamente lungo tutta la superficie del pianeta, sconvolgendo condizioni che potevano essere non solo ottimali per lo sviluppo della vita ma addirittura più stabili rispetto a quelle sulla Terra.
Venere potrebbe persino aver evitato le fasi della Terra a Palla di Neve (periodi in cui il globo è interamente ricoperto dai ghiacci), che da noi in almeno due occasioni portatono la vita sull’orlo dell’estinzione.
Che tettonicamente Venere sia molto più attivo della Terra era già noto da tempo e costituisce uno degli ostacoli nello studio dell’evoluzione del pianeta poiché la superficie sarebbe, a causa del continuo ricambio con quella che proviene dalle profondità, sorta di continuo rimescolio, molto giovane, circa 700 milioni di anni. Laddove sulla Terra si trovano rocce superficiale vecchie di miliardi di anni (anche oltre quattro).
Un’altra ipotesi vuole un tempo Venere possedesse un grosso satellite che schiantandosi sul pianeta avrebbe dato origine al disastro che lo rende l’inferno che oggi conosciamo.
Le simulazioni planetarie trovano molte applicazioni: dalla ricerca della vita su esopianeti alla comprensione del clima terrestre
La ricerca è basata sull’utilizzo del ROCKE-3D (Resolving Orbital and Climate Keys of Earth and Extraterrestrial Environments with Dynamics) della NASA, strumento sviluppato per simulare le diverse condizioni ambientali di un pianeta, che si tratti della Terra in un’epoca diversa, di un altro pianeta del sistema solare o di un esopianeta, basandosi sui dati noti e analizzare come i risultati possano cambiare variando le condizioni di partenza.
I ricercatori sono partiti dalle condizioni più condivise in ambito scientifico, ovvero un’atmosfera inizialmente simile a quella terrestre in quanto a composizione (in particolare la presenza di carbonio) e temperatura, con una rotazione sul proprio asse (il giorno) piuttosto lenta.
L’idea del disastro vulcanico (come anche quella da impatto) quale causa di un cambiamento repentino delle condizioni ambientali sarebbe un’alternativa alla lenta ma inesorabile interazione col Sole: la maggior vicinanza alla nostra stella rispetto alla Terra sarebbe secondo quest’ultima teoria la causa del cambiamento, l’effetto serra portato alle sue estreme conseguenze.
La Fascia Abitabile: difficile determinarne i confini
È infatti tutt’ora oggetto di dibattito se Venere rientri o meno in quella che gli astronomi chiamano Zona Riccioli d’Oro (dal nome della protagonista dell’omonima fiaba), ovvero quella limitata fascia in cui un pianeta si trovi nelle condizioni di poter ospitare acqua allo stato liquido: non troppo lontano, altrimenti ghiaccia, né troppo vicino, altrimenti evapora.
La presenza di acqua allo stato liquido viene ritenuto il presupposto fondamentale per la nascita e la sussistenza della vita (almeno per come la conosciamo) e un tempo si riteneva sia Venere che Marte rientrassero nella Zona Riccioli d’Oro, ma soprattutto riguardo Venere oggi il dubbio è forte e la ricerca prosegue nel tentativo di sciogliere la complessa questione.
Di Corrado Festa Bianchet