L’esposizione al bullismo viene definita come l’esperienza di diventare bersaglio di comportamenti ostili da parte di un altro individuo, sia verbali che fisici. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) stima che almeno un terzo delle persone, durante la loro infanzia e adolescenza, sia stato bullizzato.
Il problema del bullismo è quindi un fenomeno attuale, spesso investigato non solo per quel che riguarda gli effetti negativi immediati, ma anche per quelli che determinano delle problematiche a lungo termine nella salute mentale delle vittime, in particolar modo per quel che riguarda l’ansia e la depressione.
Il bullismo tra ambiente e genetica
Attraverso un approccio longitudinale, diversi esperimenti negli anni sono stati in grado di far comprendere gli effetti delle esperienze precoci di vittimizzazione sullo sviluppo di sintomi internalizzanti.
Sia attraverso lo studio del modello animale, infatti, che con misure comportamentali e misure dell’attività cerebrale, è stato possibile approfondire il ruolo delle predisposizioni genetiche e dei tratti temperamentali, così come la loro interazione con le esperienze ambientali e i correlati biologici, nello sviluppo di psicopatologie derivate da esperienze legate al bullismo.
Sicuramente i fattori ambientali sono quelli che, in tal senso, hanno maggiore impatto sullo sviluppo di psicopatologie come l’ansia sociale e la depressione. Anche fattori predisponenti come un temperamento particolarmente chiuso e diffidente, così come la capacità di resilienza e in generale le differenze individuali, possono contribuire in maniera importante nel predisporre alcuni individui a subire maggiormente tali esperienze negative.
Dal punto di vista neurobiologico, il modello animale conferma quelli che sono gli effetti diretti del subire aggressioni sull’area ippocampale, spesso riportata come disfunzionale negli individui che incorrono in problematiche legate alla depressione, agli stati d’ansia e alla disorganizzazione del pensiero.
Questo sottolinea, ancora una volta, la necessità di considerare disfunzioni all’apparenza prettamente cognitive (ad esempio i problemi di memoria) come riconducibili a problematiche presenti nella sfera emotiva.
Nei ragazzi, attraverso l’analisi dell’attivazione dell’amigdala, è stato possibile ravvisare l’impatto che le esperienze legate al bullismo possono avere non solo sull’anticipazione della valutazione da parte dei propri pari, ma anche sulla sorpresa derivata dalla conoscenza di venire apprezzati da qualcuno.
Gli effetti a lungo termine del bullismo
L’insicurezza e l’ansia nei rapporti sociali sembrano effetivamente dipendere dall’interazione tra le predisposizioni temperamentali e le esperienze ambientali meno precoci; queste ultime, in particolare, sembrano “attivare” quei fattori di rischio maggiormente dipendenti dal corredo genetico, lasciando una traccia nei ragazzi che può permanere negli anni.
Soprattutto le esperienze di tipo psicotico sembrano perpetrarsi oltre i 5 anni dal momento della vittimizzazione, e rappresentare una problematica che potrebbe estendere il suo effetto sino alla vita adulta.
Considerando quindi le differenze nei diversi soggetti e le differenti psicopatologie che possono essere innescate da esperienze di vita traumatiche legate al bullismo, rimane fondamentale coordinare una eventuale terapia farmacologica con un trattamento psicoterapeutico che tenga conto delle caratteristiche del singolo individuo e della sua storia di vita.
di Daniele Sasso
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