BepiColombo è una missione congiunta delll’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e quella giapponese (JAXA) col fine di inviare una sonda carica di strumenti scientifici in orbita intorno a Mercurio.
Perché la sonda sta “tornando indietro”?
Lanciata il 20 ottobre 2018 dalla base europea a Kourou, Guyana Francese, la sonda compirà un flyby (un avvicinamento senza entrare in orbita) della Terra il 10 aprile 2020. Il fatto che a un anno e mezzo dal lancio si ritrovi a così breve distanza da “casa” non è un caso o un incidente, ma qualcosa di previsto e voluto.
L’effetto fionda
Le numerose sonde inviate verso l’esplorazione di pianeti, satelliti, asteroidi e comete del nostro sistema solare non viaggiano mai in modo diretto ma seguendo orbite accuratamente calcolate e soprattutto sfruttando l’effetto fionda: grazie alla gravità di un pianeta la sonda viene trasportata e poi lanciata via verso la tappa successiva del viaggio.
La quantità di propellente richiesta per vincere le forze della natura e dirigersi direttamente verso la meta rende di fatto impossibile seguire questa via, o nella migliore delle ipotesi renderebbe il viaggio più lungo in termini di tempo; farsi “dare un passaggio e una spinta” da Giove, per esempio, ha permesso alla sonda Cassini di raggiungere Saturno seguendo un percorso più lungo in termini di distanza ma più breve in termini di tempo, grazie alla velocità raggiungibile grazie all’effetto fionda.
“Carburante” gratuito
Questa propulsione ottenuta grazie alla gravità consente di ridurre al minimo peso e volume occupati dai motori e dal propellente o generatore di energia, permettendo di installare una maggior quantità di strumenti scientifici e di risparmiare parecchio in termini economici.
La sonda BepiColombo è indirizzata verso l’interno del sistema solare, in rapporto alla posizione della Terra, e in questo le cose si complicano ulteriormente poiché a un’orbita più stretta corrisponde la necessità di ridurre l’energia accumulata dalla sonda.
Rallentare la sonda
Quello del 10 aprile sarà l’ultimo passaggio di BepiColombo vicino al pianeta d’origine, mentre effettuerà due flyby su Venere, il primo il prossimo ottobre e il secondo nel 2021. Ma ancora non basterà a diminuire a sufficienza la velocità del manufatto, che compirà ulteriori sei avvicinamenti alla sua stessa destinazione finale, Mercurio, prima di aver rallentato abbastanza da poter entrare finalmente in orbita intorno al piccolo pianeta, il più interno del sistema solare.
Ancora cinque anni di viaggio
Ciò avverrà solo nel 2025, a sette anni dal lancio, e la dice lunga sulle difficoltà nel raggiungere una
meta apparentemente abbordabile: Mercurio è il terzo pianeta più vicino alla Terra, considerando la distanza minima assoluta toccata durante l’incrocio delle orbite (*), mentre proprio lo stesso tempo, sette anni, fu necessario alla Cassini-Huygens per raggiungere Saturno, molto, molto più lontano.
Insieme alle missioni di dieci o dodici anni che hanno raggiunto Plutone o la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko con un scarto di poche ore o addirittura minuti sui tempi previsti, questa è una dimostrazione della grande, incredibile accuratezza dei calcoli richiesti in questo genere di imprese, ma anche della loro straordinaria affidabilità.
(*) da un calcolo recente è emersa la notizia, apparentemente controintuitiva, che in realtà Mercurio sarebbe il pianeta mediamente più vicino alla Terra: questo perché, dato un periodo minimo di tempo (oltre seimila giorni), Marte e Venere toccherebbero sì una distanza minima molto inferiore rispetto a Mercurio, ma le orbite più ampie li porterebbero anche molto più lontani; Mercurio invece, con la sua orbita stretta, finisce col trovarsi molto più vicino a noi rispetto a Marte e Venere quando si trova dalla parte opposta rispetto al Sole.
Di Corrado Festa Bianchet