Nel 1934 un medico che lavorava in una scuola privata per ragazzi, in Pennsylvania, tentò per la prima volta un metodo unico per evitare l’aggravarsi di un focolaio di morbillo potenzialmente mortale.
Il dottor J.Roswell Gallagher estrasse il siero dal sangue di uno studente che, pochi giorni prima, si era ripreso da una grave infezione da morbillo.
Gallagher iniziò poi ad iniettare il plasma in altri 62 ragazzi, che erano ad alto rischio di contrarre la malattia.
Di questi, solo tre ragazzi contrassero il morbillo, mentre gli altri svilupparono sintomi lievi, ma si ripresero in fretta.
Il metodo, sebbene fosse relativamente nuovo, non era una novità per la scienza.
Il primo premio Nobel per la medicina e la fisiologia, assegnato nel 1901, era stato attribuito ad Emil von Behring per la sua ricerca, che aveva contribuito a salvare migliaia di vite.
Behring aveva sviluppato una cura per la difterite, un’infezione batterica particolarmente fatale nei bambini.
Il suo trattamento innovativo, noto come antitossina difterica, consisteva nell’iniettare nei pazienti malati gli anticorpi estratti dagli animali che si erano ripresi dalla malattia.
Cura al plasma di Emil von Behring: come funzionava?
L’antitossina difterica di von Behring non era un vero e proprio vaccino, ma il primo esempio di un metodo di trattamento chiamato “plasma convalescente”, che in queste settimane è stato riportato alla luce come potenziale trattamento per il COVID-19.
Il plasma convalescente è il plasma sanguigno estratto da un paziente animale, o umano, che si è ripreso dall’infezione con una particolare malattia.
“Il plasma convalescente è stato utilizzato nel corso della storia quando ci si è ritrovati a confrontarsi con una malattia infettiva in cui c’erano persone che si riprendevano, ma non erano ancora presenti altre terapie” ha dichiarato Warner Greene, direttore del Center for HIV Cure Research presso il Gladstone Institutes. “C’era qualcosa nel loro plasma, ad esempio un anticorpo, che li aveva aiutati a riprendersi.”
Il plasma convalescente interagisce in modo diverso con il sistema immunitario rispetto ad un vaccino.
Quando una persona viene trattata con un vaccino, il suo sistema immunitario produce attivamente i propri anticorpi, che uccideranno l’agente patogeno bersaglio in qualsiasi incontro futuro. Questo fenomeno è detto immunità attiva.
Il plasma convalescente offre invece quella che viene chiamata “immunità passiva”. Nell’immunità passiva il corpo non crea i propri anticorpi, ma li “prende in prestito” da un’altra persona, o animale, che ha sconfitto con successo la malattia.
A differenza del vaccino, la protezione non dura tutta la vita, ma gli anticorpi presi in prestito possono ridurre notevolmente i tempi di recupero e persino fare la differenza tra la vita e la morte.
Il plasma convalescente, insomma, è la più grezza delle immunoterapie, ma può essere molto efficace. I trattamenti al plasma, non per nulla, hanno dimezzato i decessi per influenza spagnola.
L’impiego del plasma convalescente durante l’epidemia di influenza spagnola (1918-1920)
Dopo che l’antitossina di von Behring venne distribuita in tutto il mondo per curare la difterite nel 1895, i medici iniziarono a sperimentare la stessa tecnica di immunità passiva per curare il morbillo, la parotite, la poliomielite e l’influenza.
Durante l’epidemia di influenza pandemica del 1918, nota come “influenza spagnola”, i tassi di mortalità furono dimezzati per i pazienti trattati con il plasma sanguigno rispetto a quelli che non lo erano.
Il metodo sembrava particolarmente efficace con i pazienti che avevano ricevuto gli anticorpi nei primi giorni dell’infezione, quindi prima che i loro stessi sistemi immunitari avessero la possibilità di reagire in modo eccessivo e di danneggiare gli organi vitali.
Negli anni Trenta medici come Gallagher usarono efficacemente il plasma convalescente contro il morbillo.
Guerra di Corea: quando i trattamenti al plasma salvarono le truppe dell’ONU
Negli anni Quaranta e Cinquanta i vaccini, come pure gli antibiotici, iniziarono a sostituire l’uso del plasma convalescente per il trattamento di molti focolai di malattie infettive.
Il vecchio metodo però tornò ancora molto utile durante la Guerra di Corea, quando migliaia di truppe della neonata ONU furono colpite da un’infezione chiamata Febbre Emorragica Coreana, nota anche come Hantavirus.
Senza altri trattamenti a disposizione, i medici presenti sul campo iniziarono a fare trasfusioni di plasma convalescente ai pazienti malati, salvando un numero imprecisato di vite.
Greene, parlando del plasma convalescente, ha aggiunto che è stato persino usato per trattare le epidemie di MERS, di SARS e di Ebola del XXI secolo, tutti nuovi virus che si sono diffusi attraverso le comunità prive di difese immunitarie naturali, di vaccini e di trattamenti antivirali efficaci.
Oggi il miglior trattamento per l’Ebola, manco a dirlo, è una coppia di “anticorpi monoclonali”, degli anticorpi singoli isolati dal plasma convalescente e poi clonati in modo artificiale in un laboratorio.
Plasma convalescente: combatterà anche il COVID-19?
Uno dei migliori, e più noti, usi moderni del plasma convalescente, è la produzione di antivirali per il trattamento di morsi letali dei serpenti.
L’antiveleno viene prodotto iniettando piccole quantità di veleno dei serpenti nei cavalli e consentendo al loro sistema immunitario di produrre gli anticorpi per neutralizzare il veleno.
Questi anticorpi equini vengono poi isolati, purificati e distribuiti agli ospedali come antivirali.
Nel marzo 2020 i medici della Johns Hopkins University hanno iniziato a testare il plasma convalescente come promettente trattamento contro il COVID-19, mentre i ricercatori provenienti da tutto il mondo hanno proseguito con le loro ricerche per un vaccino permanente.
Il vantaggio del plasma convalescente è che può essere prelevato dai pazienti guariti utilizzando la stessa tecnologia di separazione del plasma usata nelle banche del sangue.
“È tutto fattibile” ha dichiarato l’immunologo Arturo Casadevall, capo ricercatore dello studio COVID-19, “ma per farlo richiede impegno, organizzazione, risorse…e persone che si sono riprese dalla malattia e che possono donare il sangue.”
Di Francesca Orelli