Maurits Cornelis Escher è stato un incisore e grafico olandese, nato a Leeuwarden il 17 giugno del 1898 e morto a Laren nel 1972, che nel corso della sua esistenza passò diversi anni anche in Italia. Non è un caso, infatti, se tra i soggetti principali dei suoi lavori sono presenti Roma e la campagna italiana visitata spesso nei mesi primaverili ed estivi.
Furono tuttavia la dittatura fascista, portatrice di un clima teso e cupo, e l’aver visto suo figlio George tornare a casa con l’uniforme di un Piccolo Barilla, a portare l’artista alla decisione di abbandonare il Bel Paese.
La Relatività, realizzato nel 1953, è una delle opere che più di tutte rappresentano quelli che vengono definiti i mondi impossibili di Escher. L’opera descrive, per l’appunto, un mondo in cui non si applicano le normali leggi derivate dalla gravità.
Al suo interno è presente una comunità idilliaca, nella quale gli abitanti svolgono le loro attività ordinarie, come mangiare ad un tavolo o passeggiare all’aperto. Le finestre e le porte si affacciano su ambienti esterni come un cortile o un parco. Tutte le sedici figure sono rappresentate in maniera identica, e l’unica specifica distinguibile è quella relativa al loro genere.
Nella litografia è possibile identificare tre fondi di gravità, ognuno ortogonale agli altri due. Ciascun abitante vive in uno di questi pozzi, ognuno dei quali possiede una propria attrazione terrestre.
L’apparente confusione della stampa è dovuta al fatto che le tre fonti diverse di gravità sono tutte rappresentate nello stesso spazio. La struttura consta di sette scale e ogni scala può essere utilizzata da persone appartenenti a due diverse forze gravitazionali. Le alzate e le pedate sono perfettamente interscambiabili, rendendo possibile distinguere le figure che salgono da quelle che scendono semplicemente osservandone la postura della testa e delle gambe.
I mondi impossibili di Escher sono presenti in diverse delle sue opere più famose. Un’analoga visione è infatti rintracciabile ne La casa di scale, realizzata nel 1951.
La litografia in questo caso raffigura l’interno di una struttura caratterizzata da scale e porte squadrate, le quali vengono calpestate e varcate da quarantasei wentelteefje, una specie di animali immaginaria con sei zampe provviste di piede umano, la testa fornita di un becco simile a quello di un pappagallo e degli occhi sugli steli. Per attraversare le porte e le scale, queste strane creature sembrano rotolare in un loop infinito.
Concavo e convesso, realizzato nel 1955, gioca invece su una apparente simmetria che nasconde una differenza sostanziale tra le due metà dell’opera: la parte sinistra, infatti, è rappresentata dall’alto, mentre quella di destra dal basso.
Se osserviamo attentamente la parte inferiore dell’immagine al centro potremmo notare delle scale, considerando la parte sinistra dello scenario, oppure i sostegni di una mensola, analizzandola basandoci sulla porzione di destra; la stessa colonna, a seconda dei punti di vista, può diventare un sostegno del tetto oppure di una volta posta nel verso opposto. Anche le scale del ponte sulla sinistra, a guardarle bene, potrebbero essere intese come l’imposta di un arco.
La confusione nell’interpretazione dell’immagine deriva dal fatto che il disegno sfrutta accuratamente ogni ombra, determinando la percezione contemporanea di una superficie solida sia concava che convessa, dipendente da dove si ritiene che venga orientata la luce.
I mondi impossibili e paradossali di Escher, oltre che nel campo artistico, trovano fortuna ancora oggi nel settore cinematografico e televisivo, attraverso pellicole come Labyrinth (Jim Henson, 1986), così come in più recenti serie animate quali Family Guy, Futurama e Rick and Morty.
Di Daniele Sasso
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